sabato 17 aprile 2021

Effetto domino

Cialtroneria di chi un bel nulla move
per l'universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove,

avrebbe chiosato l'Alighieri. Per cui Nerino Lanucci, che aveva rovinato, calpestato, disprezzato e danneggiato un bel po' di gente da vivo riuscì a rovinare, calpestare, disprezzare e danneggiare qualcuno anche da morto.
Come i nostri lettori ricorderanno pochi mesi prima di salutare il de cuius aveva arruolato Giovane e Brillante Tecnico (d'ora in poi GBT per brevità). Dopo venti e passa anni passati ad avvalersi di analfabeti, scalzacani, mascalzoncelli, frontebassa, pigri, barattieri, cialtroni, falliti, compagnoni, scansafatiche, parenti e corpivendole, perfino lui si era accorto che continuando a quel modo sarebbe arrivato pochissimo lontano e aveva pensato di correre ai ripari.
Poi successe quello che successe e GBT rimase in forza alla Premiata Ditta, annusicchiando intanto torno torno per vedere che aria tirava perché molto giustamente non si aspettava gran che. Tant'è vero che all'apparire del liquidator giudeo statuì pubblicamente e con una sarcastica scrollata di spalle che la Premiata Ditta non sarebbe arrivata alla fine dell'anno, e si mosse di conseguenza. Rassegnò le dimissioni, e dopo un conciliabolo con l'Ingegnere si accasò in capo a qualche giorno fra le truppe della Bellestoffe Thinking.
Laureato in economia e commercio e diplomato tecnico tessile, GBT era doppiamente competente e quindi doppiamente pericoloso. Superiorem non recognoscens, il vero imprenditore campese aborrisce la competenza dei sottoposti; a GBT l'Ingegnere trovò logica sistemazione nell'ufficio commerciale per l'Italia in compagnia di una sorta di clone campese di Anna Mazzamauro e della sua ingobbita comare, una ciabattona con la terza media che come supremo traguardo nella vita aveva avuto il fare una figlia insieme a un avanzo di galera con un passato di scagnozzo da estorsione oltretutto già nonno da diversi anni.
Ad unire fraternamente le due "signore", l'inveterata abitudine alla delazione.
Nel corso degli anni avevano sbriciolato, messo in cattiva luce e in pratica costretto alle dimissioni un certo numero di colleghi più bravi (non che ci volesse molto ad essere più bravi di quelle due) e di colleghe più avvenenti (non che ci volesse molto ad essere più avvenenti di quelle due) colorendo, esagerando o più semplicemente inventando pensieri, parole, opere ed omissioni a carico di chi aveva il torto di far loro ombra. Le lunghe conversazioni meridiane, pomeridiane o serali tenute con la porta ben chiusa nell'ufficio dell'Ingegnere non avevano altro argomento, anche se qualche individuo poco al corrente della situazione avrebbe magari pensato a qualche conversazione di lavoro. Che sarebbe stato bene affrontare, visto che le allegre comari di Campo riuscivano si e no a fatturare ogni mese quanto bastava per pagarsi lo stipendio, e non era nemmeno sempre detta.
Dopo un mese in quelle condizioni GBT aveva già voglia di spaccare crani.
Molta voglia di spaccare crani.
Si rivelò comunque buon profeta: la Premiata Ditta si ridusse nei termini da lui previsti all'equivalente economico-finanziario di una nana bianca. Ci sarebbe stato da scommetterci o da rimetterci l'orologio.
Molto prima che i destini si compissero GBT sbatté la porta e se ne andò imbestialito passando armi e bagagli alla concorrenza. "Io non posso rimanere parcheggiato là dentro da un mese all'altro, con quelle due [sostantivo femminile plurale estremamente squalificante] ad aspettare i comodi di un titolare che non si fa mai vedere".
Non si mise a spaccare crani, e viste le premesse fu già un progresso costruttivo.
Intanto però c'erano state due importanti fiere internazionali e GBT ci aveva messo diligentemente del suo ideando vari campioni, tutti finiti in collezione.
Al momento dei saluti nessuno -tantomeno le due delatrici, ovviamente- si era preso la briga di informare l'Ingegnere, che era sempre impegnato a farsi sfottere nelle associazioni di categoria e deridere negli studi televisivi. Tantomeno ci si curò di avvertire il personale commerciale addetto ai mercati esteri, che stava sudando sette camicie in giro per la Valacchia e la Moldavia a mostrare le meraviglie della Bellestoffe Thinking... e che solo al ritorno da un defatigante viaggio d'affari veniva messo al corrente del fatto che aveva dato a Cliente Importante, Cliente Fondamentale e Cliente Insostituibile -solo per fare tre nomi- chissà quanti campioni di tessuti il cui ideatore e responsabile di produzione era sparito nel nulla dalla sera alla mattina. Con ripercussioni facilmente immaginabili sui contratti da onorare e di conseguenza su un fatturato su cui c'era già da stare poco allegri.

giovedì 19 settembre 2019

Titolo del dibattito: "Le competenze imprenditoriali sono ereditarie? No." Fine del dibattito.

Il Padre Fondatore Numero Uno di Bellestoffe Group ha due figli, un maschio e una femmina. 
Il maschio si è laureato in economia e ha lavorato nel gruppo tessile fondato dal padre praticamente dal giorno successivo, in DatumStoff prima e in Bellestoffe Fashion poi.
Essere l'unico figlio maschio del padrone non gli ha per niente facilitato le cose; sia i sodali del padre che le maestranze lo hanno sempre considerato l'ultima ruota del carro, quello di cui non fidarsi, il meno riuscito, lo scarognato, insomma, uno da trattare sempre e comunque di scartina al punto che spesso i consigli di amministrazione cui avrebbe avuto ogni diritto di partecipare venivano convocati senza neppure avvertirlo.
Il sanguigno e sbrigativo padre non ha mai fatto proprio niente per nasconderglielo, anzi.
Quando aveva sui venticinque o trent'anni provarono anche a incoraggiarlo sulla via della politica, mandandolo a ciondolare nell'organizzazione giovanile di un partito che ai tempi furoreggiava e che allora come oggi era una delle destinazioni naturali dei figli cadetti, che vi venivano e vi vengono stivati perché non facciano troppi danni in fabbrica. Un atteggiamento che rappresenta da chissà quanto una specie di costante della borghesia imprenditoriale, con risultati che si vedono benissimo.
Insomma: il povero Emanuele Strini ha trascorso un paio di decenni a immalinconire negli uffici, tenuto buono con incombenze risibili e traccheggiando circondato da malevoli cachinni lardellati di sufficienza con cambi e valute estere, attività in cui fior di squali della finanza hanno trovato il modo di rovinarsi. A furia di picchiettare sulla tastiera del computer centrò la bolla finanziaria del 2001 e quella del 2008. Peccato che lo fece per il verso sbagliato, comprando azioni al massimo del loro valore e rivendendole a crollo avvenuto.
La cosa non gli fu perdonata. Passato per decreto paterno da un demansionamento all'altro, o a provvisori incarichi fatti apposta per cambiarlo di posto, si è trovato a sovrintendere ormai relativamente rasserenato alle rovine di un piccolo impero che era arrivato a schierare oltre un centinaio fra dipendenti e collaboratori e quasi una decina di ragioni sociali.
Alla sua imperturbabilità atarassica contribuiscono la stretta amicizia con le benzodiazepine (buttate giù come acqua) e i periodici soggiorni nella clausura di un austero eremo montano.
La figlia Isadora si laureò invece in giurisprudenza, e allo stesso modo venne a lavorare nella Premiata Ditta gomito a gomito con l'illacrimato estinto.
Come figlia del Padre Fondatore ebbe la sua congrua parte di quote sociali, al pari di un certo numero di parenti che campavano alle spalle di Bellestoffe Group senza mai aver mosso un dito in vita loro, e di qualche famelico aquilotto arciconvinto di essere un genio della trama e dell'ordito, tenuto buono con le briciole purché passasse a partita IVA consentendo ai fondatori di scaricare ogni rischio d'impresa sugli imprenditori di se stessi.
Gli anni in cui Isadora lasciò i codici per dedicarsi agli ordinativi erano ancora tempi in cui le pezze campesi si vendevano come le arachidi: i venticinque anni, l'aspetto da silfide e il modo di fare sicuro, uniti ovviamente al prestigio paterno, le permisero di essere ammessa alla corte del riservatissimo fondatore di quella Irrinunciabile Multinazionale che anni dopo Nerino avrebbe cercato di far fessa con i risultati che sappiamo. L'avvenire era comunque in grembo ai celesti, anche se ampiamente divinabile visto lo spessore del personaggio, e fu anche grazie a Isadora che Bellestoffe Group poté comunque rifilare per anni alla Irrinunciabile Multinazionale i pregiati capi d'opera dell'arte tessile campese.
Ora, a lungo andare ci si stufa di qualsiasi cosa. Il fondatore della Irrinunciabile Multinazionale si stufò di prendere fregature dalla Premiata Ditta, e Isadora si stufò di passare le giornate gomito a gomito con il "signor" Lanucci, per quanto buoni potessero essere gli introiti.
Dopo qualche anno Isadora, al culmine di un brutto periodo personale in cui diede pubblicamente in escandescenze un paio di volte (il solito "io vi licenzio tutti" e altra roba da padrone di ferriera) mise gli occhi su una ditta di confezioni dal nome teatrale che pareva ben avviata. Lasciò perdere il lavoro alla Premiata Ditta lasciando i soci e soprattutto i sottoposti a vedersela col sordido operato di Nerino e col disprezzo di clienti e fornitori, acquistò la società -con quali soldi non è dato saperlo, dal momento che il suo tenore di vita contemplava tante e tali spese da prosciugare qualsiasi conto corrente- e la trasformò radicalmente.
In primo luogo convinse alla spicciolata il personale a togliersi dai piedi, in modo più o meno amichevole, e lo sostituì con individui di suo affidamento scelti in base ai criteri che caratterizzano l'ambiente "imprenditoriale" campese e che privilegiano la remissività, l'esistenza di forti legami familiari e il sussistere di ineludibili necessità economiche di quelle che garantiscono la ricattabilità delle maestranze, lasciando fuori dai parametri di gudizio quisquilie come la competenza e la correttezza.
Poi ne cambiò la ragione sociale.
Poi ne cambiò la sede: la morìa di ditte, sottoditte e reparti aveva già allora liberato un mucchio di posto negli stabili del padre e una sistematina a furia di cartongesso e tempera, unita a canoni d'affitto eccezionalmente benevoli, avrebbe senz'altro messo l'impresa sulla strada giusta per macinare utili a tutto spiano.
In pochi mesi la volenterosa giovane si presentò come stilista con un marchio proprio, che sostituì il nome teatrale della ditta rifondata e trasferita.
Poi vennero le tappe successive, che per una giovane donna di grandi ambizioni sono sempre le stesse: matrimonio dallo sfarzo campese e gravidanza che più programmata non si potrebbe. Le condizioni e le circostanze del concepimento cronometri alla mano, per una giovane donna tanto dinamica e dall'agenda tanto fitta di impegni, che tanto chiede al proprio fisico, è meglio lasciarle all'immaginazione.
Al bambino fu imposto, più che un nome, uno stigma.
Allo stesso modo fu battezzata una linea di capi femminili destinati a un target altissimo ma pur sempre fatti a Campo, ovvero con materiali discutibili e lavorazioni in economia.
Lo stile della silfide nerovestita si era assestato da subito su capi che sarebbero stati plausibili soltanto addosso a una diciottenne reduce da un paio di annetti ad Auschwitz e alta almeno un metro e novantasei. Già questo riduceva gli acquirenti potenziali a numeri con tre cifre, per quanto grande e affollato sia il mercato di riferimento. Se poi pensiamo che erano a tre cifre anche i prezzi, e più sul novecento che sul cento, ecco materializzarsi qualche ostacolo in più sulla via del successo e della prosperità.
Incurante di ogni obiezione e fortissima dei portafogli paterno e maritale, la silfide partì in grande con una boutique monomarca a Castel degli Stucchi, una località della costa a un tiro di schioppo da Campo un tempo frequentata da campesi straricchi e ora infarcita di straricchi di altra provenienza, che hanno da molti anni superato i frequentatori originari negli ardimentosi campi dello sperpero, dello scialo e dei lussi grossolani. Isadora Strini si sarebbe accorta di una realtà scomoda: si tratta di una clientela non certo facile da attirare e che in questo settore le apparenze ingannano che è una meraviglia.
Piccolo particolare: per costruire la fama e la redditività di un marchio occorrono sempre e comunque decenni di lavoro, spesso anonimo e spesso sotto traccia. Pare che la cosa non sia rimpiazzabile con le campagne pubblicitarie, per quanto massicce e per quanto dispendiose, e meno ancora piazzando di punto in bianco un negozio di vestiti in una via commerciale, per quanto prestigiosa possa essere la location e per quanto alti possano di conseguenza essere gli affitti.
In meno di un anno i conti decretarono la tragedia. O meglio, l'avrebbero decretata nel caso di chiunque altro avesse avuto alle spalle finanziatori meno benevoli: un intervento paterno rimise tutto a posto e consentì un secondo tentativo.
Un po' meglio meditato, magari.
Perfino lei arrivò a tanto consiglio, il che in un individuo assolutamente egoriferito è già lodevole indice di un minimo di coscienza.
Dopo qualche mese di riflessione decise di non dannarsi l'anima coi ricconi in vacanza, e di andare a cercarli direttamente a casa loro con altri sistemi sperabilmente più efficaci. I vestimenti da internata disegnati dalle raffinate ed esigenti mani di Isadora avrebbero fatto bella mostra di sé in negozi on line e in negozi multimarca, aperti nei principali grandi magazzini di città mai sentite nominare ma sperabilmente esclusivi a sufficienza, visto che la Nostra ostentava un disprezzo da lord Brummel per qualunque cosa le sembrasse cheap. Il tutto, tenuto insieme con un battage pubblicitario fitto di endorsement prestigiosi, o assai più spesso presunti tali.
Per diversi anni il benevolo sostegno paterno e quello ancor più benevolo del marito, scelto a suo tempo con oculatezza fra i rampolli della Campo che Pensava di Contare, hanno puntellato lo stile di vita di Isadora e il suo costosissimo giocattolo -un'impresa comunque traballante che nei bilanci migliori chiudeva a malapena in pari- senza mai metterne in discussione la linea stilistica o la gestione. La visibilità mediatica e la fitta pubblicità del marchio Isadora Strini di conseguenza non corrispondevano affatto a una realtà consolidata, e in qualche caso hanno portato a esiti di comicità involontaria piuttosto notevoli, come l'orgogliosa presentazione della foto in cui compare una certa cantante ventenne ritratta con un prezioso capo Isadora Strini dopo essersi esibita in una performance televisiva.
Dopo, non durante.
Probabilmente il durante imponeva esborsi su cui perfino lei aveva dovuto ponderare con attenzione.
Insomma, i quattrini altrui hanno consentito a una campese di intestardirsi per chissà quanto a farsi largo a gomitate tra le grandi firme che infarciscono quelle riviste di moda che si ammucchiano dai parrucchieri e dai dentisti. Peccato che le svendite nell'outlet improvvisato nell'androne della sede centrale (lontanissima da qualsiasi prestigioso distretto commerciale) e tenute a cadenze sempre più frequenti parlassero una lingua piuttosto diversa e tutt'altro che trionfalistica.
Al mondo tutto ha un limite, anche la benevolenza del portafoglio dei congiunti, per quanto fornito. Dopo anni e anni e anni di presentazioni in sedi prestigiose, di interviste esclusive, di viaggi in business class alla scoperta dei mercati emergenti, di atelier nella capitale della moda, di ristoranti stellati, di modelle asfittiche, di location innovative, di ricevimenti in cui si siede quasi accanto a questo o a quel nome di fama mondiale e soprattutto di note spese con quattro zeri anche il più generoso pigmalione alzerebbe bandiera bianca, figuriamoci il secondo (e ultimo) discendente di una famigliola di imprenditori tessili campesi.
Stufo di turare con palate di quattrini i buchi nei bilanci-gruviera (un formaggio talmente cheap da essere senz'altro bandito dalla mensa di lei), a sottolineare la gravità della situazione il marito di Isadora approfittò della stagione calda per cominciare a presentarsi in ditta in calzoncini corti, come per far presente di essere rimasto in mutande. Un arbitrio inaudito, una licenza a un dress code inappuntabile cinque stagioni l'anno che in altri tempi non sarebbe stata tollerata ma che ora vedeva Isadora silente, se non proprio accomodante. Meglio non alzare troppo la cresta; non sarebbe il primo matrimonio che finisce con un fitto scambio di salve di stoviglie e suppellettili domestiche. Nel caso specifico aprire le ostilità avrebbe senz'altro messo a repentaglio un patrimonio di vasi Ming e di porcellane di Limoges.
A differenza di quanto successo con le precedenti cessazioni di attività avvenute in Bellestoffe Group la brigata dei dipendenti dovrà per intero arrangiarsi in proprio: non esiste più alcun ricettacolo in cui ricollocare gli esuberi.
Probabilmente, neppure in tutta Campo.

venerdì 1 marzo 2019

Esodo

L'agonia della Premiata Ditta fu preceduta e accompagnata dall'emorragia del personale. Che prese la via delle più varie destinazioni. In molti casi chi scrive esitò qualche palanca da questi trasferimenti approntando servizi e configurazioni, allestendo macchine e fornendo consigli e suggerimenti per lo più ignorati, dal momento che a Campo tutti hanno studiato alla scuola della vita e figuriamoci se c'è da preoccuparsi di roba del genere.
Ettore Maria Parvi era stato collega di Nerino ai bei tempi di Bellestoffe Tela. Nerino lo aveva trattato da un giorno all'altro per anni e anni in una maniera tale che dopo aver assistito a comportamenti repellenti, scene imbarazzanti e furberie continue, dopo aver insomma sopportato l'umanamente sopportabile, una sera qualunque un Ettore Maria ormai sull'orlo di una crisi isterica aveva fatto irruzione in un consiglio di amministrazione e alla presenza di una piccola folla di soci, manutengoli, mezzani e "professionisti" di quelli che ti vengono a trovare con la cravatta, raccontano due boiate e poi emettono fatture con tre zeri aveva gettato la spugna, aveva salutato e se n'era andato per sempre da Bellestoffe Group.
Un bel po' di anni dopo, il giorno dei funerali a Vallepirlo, il signor Parvi era parte della fitta schiera di persone perbene venute a controllare de visu che Nerino fosse morto davvero.
E morto schiantato.
Nei mesi successivi il signor Parvi intensificò i rapporti con i vecchi colleghi e tolse dalle ambasce Galeazzo Fabrizi (cacciato su due piedi da Patrizio Riva) nominandolo capo (e unico addetto) dell'ufficio commerciale della Parvitex, una delle svariate ditte tessili che aveva fondato e diretto dopo la sua brusca uscita dalla nostra felice famigliola.
Insieme a Galeazzo la Parvitex arruolò anche Solyanka Moskowitz, la rappresentante turkmena con cui il caro estinto aveva violato per anni almeno due o tre comandamenti, e tolse con briosa disinvoltura dalle manine rassegnate delle sorelle Redentori i due terzi del campionario della Premiata Ditta. La vendetta -piatto che va mangiato freddo- ha un buon sapore e ad Ettore Maria Parvi non pareva vero di rifarsi con gli interessi di quello che Nerino Lanucci gli aveva fatto passare; in poche mosse contava di (1) rafforzarsi sul mercato interno grazie a Galeazzo, (2) entrare nel mercato turkmeno grazie a Solyanka e (3) vivere di rendita sullo sviluppo di prodotti per una stagione almeno.
Piccolo problema.
Imbarcando velocissimo il Fabrizi, la Moskowitz e un campionario intero, il Parvi imbarcava ancor più velocissimo un campionario anche più assortito del variopinto ginepraio di furberie, favori incrociati, gabole e carambole su sui si regge da sempre l'industria tessile campese. Un ginepraio che finisce regolarmente con lo strangolare chi vi si addentra, specie se lo fa animato da intenzioni costruttive, dopo averlo avvinto e convertito; in città impera a tutti i livelli e in tutti gli ambienti un individualismo manicomiale simbiotico a una tradizione di accoltellamenti reciproci, di tradimenti tra soci, parenti e fratelli di sangue che solo chi ne ha frequentato gli ambienti lavorativi conosce bene. L'impressione che se ne ricava è che le imprese, a Campo, siano una via di mezzo fra il giocattolo e il bancomat in cui la disonestà impera ad ogni livello fra il padronale e il servile. Il campese venderebbe tranquillamente madre e fratelli per cinque euro, se gli servisse denaro per qualche consumo miserabile.
Com'era prevedibile in questo tempio di solida etica e di esistenze integerrime, a qualche giorno dall'incorporazione Fabrizi e Moskowitz erano, amiconi e cinguettanti, a fare bella mostra di sé sulle reti sociali. Anziché al lavoro -come sarebbe stato auspicabile- le immagini che li ritraevano insieme li mostravano in antichi centri storici e locali costosi, in contesti di shopping, in high streets di varie città europee. L'uomo dall'aperitivo facile e la donna facile anche senza aperitivo sapevano già come trarre il massimo vantaggio dal Parvi e dalla sua ditta.
Qualche tempo dopo, chi scrive ricevette una telefonata da Ettore Maria Parvi.
Ettore gettava la spugna; la Parvitex chiudeva perché prima di perdere soldi senza freno e di portare i libri in tribunale era meglio ammettere la sconfitta e limitare i danni.
Dopo due parole di convenevoli Ettore venne al sodo: gli servivano gli estremi di una certa casella di posta, perché qualcuno aveva combinato qualche guaio e occorreva almeno togliergli di mano quelle credenziali visto che l'indirizzo incriminato girava allegramente per tutto il variopinto mondo dei rappresentanti, dei mezzani e di tutto quell'universo di ben vestiti che campa alle spalle di chi lavora sul serio.
"...No, Ettore. Non c'è rimedio."
"Ma come?! Io sono entrato per cambiargli la password ma quello ha ricevuto l'alert ed è stato più veloce di me..."
"Appunto..."
Come i lettori avranno intuito, non esisteva rimedio perché Ettore Maria Parvi, campese della più bell'acqua del tipo che "piloto io, è tutto sotto controllo", per non pagare due lire di dominio aveva man mano assegnato a dipendenti e collaboratori indirizzi singoli su [grossissimo fornitore di servizi] che aveva personalmente creato e configurato uno per uno.
Risultato, tutti erano stati padroni di modificare le credenziali a piacimento.
Il rischio -pardon, la certezza- di quanto poteva succedere era evidente a chiunque non fosse un cinghiale o un campese. A fronte di questa politica, affrontata col consueto piglio ridanciano e con la granitica sufficienza che contraddistinguono i veri campesi in ogni atto della loro spesso miserabile esistenza, era inutile avanzare dubbi o messe in guardia.
A suo tempo chi scrive si era quindi ben guardato dall'aprire bocca, sicuro che i risultati non avrebbero tardato a occorrere. Adesso, alle prese con qualcuno che evidentemente non aveva limitato il proprio imperversare al gonfiare oltre ogni limite qualunque nota spese gli capitasse a tiro, Ettore Parvi faceva quasi compassione.
 

sabato 9 febbraio 2019

Termina la breve stagione di Patrizio Riva, consulente sedicente (o sedicente consulente, fate voi).

Il giorno precedente l'inizio della già descritta e importantissima fiera parigina di settore, dopo aver sparigliato carte, organizzazione, itinerari, logistica, tempistica, campionario, sistemazioni alberghiere, fondi cassa e catering, Patrizio Riva si decise finalmente a dare il benestare per la partenza.
Durante la permanenza in Francia non mandò né un SMS né un messaggio né una mail né un qualsiasi segno di vita che facesse trarre qualche auspicio sulle sorti della trasferta, sull'andamento delle campionature, sui tagli da preparare al volo, magari su auspicabile richiesta di qualcuno dei tanti, troppi clienti importanti che Nerino aveva circuito, ingannato, vilipeso o tradito per tanto, troppo tempo e che fosse di memoria tanto labile da consentire alla Premiata Ditta di farsi sotto un'altra volta.
Non che le maestranze ci sperassero molto; le giornate trascorrevano fra moti di spalle, allargamenti di braccia e pratiche sbrigate di malavoglia ad attestare la poca o punta fiducia che il basso ma sgradevole, l'assertivo ma fanfarone, il viscido ma imprevedibile Riva ispirava a tutti.
Tranne che alle sorelle Redentori, ormai accalappiate e costrette a ballare in una danza di cui non conoscevano né i passi né la musica e che si facevano portare avanti da una sostanziale incoscienza sotto lo sguardo vigile di Gianna Patrizi, sempre più attenta a ostentare la propria indispensabilità aziendale e a mettere la sordina al suo ruolo di custode, scrivano e soprattutto complice delle cialtronate e degli arraffi dell'illacrimato estinto.
Intanto che Patrizio Riva rispettava la kasherut divorando mortadella in riva alla Senna in compagnia di un team commerciale ridotto ai minimi termini dalle esecuzioni extragiudiziali, Gianna faceva in modo da assicurarsi la soft exit da una situazione che poteva ancora stritolarla suggerendo i passi successivi alle sempre più disorientate Redentori, che passavano dalla blanda curiosità alla completa abulia man mano che nuovi tasselli si aggiungevano a comporre il mosaico del disastro.
E altri indizi sulla vera natura del sedicente ebreo andavano col passar del tempo a completare il poco lusinghiero ritratto del signor Riva già abbozzato dal sobrio Pino Pierini fin dal primissimo momento. In un'epoca in cui anche i cani randagi rendicontano puntuali su qualche "social media" la propria quotidianità -e la cosa vale a maggior ragione per imprenditori o presunti tali, consulenti o sedicenti tali- Patrizio Riva risultava curiosamente inafferrabile e figurava poco o nulla; gli unici indizi reperiti sulle sue ostentate iniziative imprenditoriali e sui suoi folgoranti successi portavano a un pretenzioso e inutile fashion bar aperto a Campo qualche anno prima, e durato giusto il tempo di farsi svaligiare un paio di volte.
Il ritorno della truppa da Parigi non ebbe nulla della frenesia attivista con cui normalmente si concludevano le trasferte. Gli ordini di campionatura passarono alla Baranidze con una calma mai vista, la gloriosa cassa da imballaggio col materiale per le trasferte riprese la sua collocazione in magazzino ancorché sconciata dal biancastro patriziesco, e tutto tornò a svolgersi nella abulia tetra di cui si è già lungamente trattato... fino a quando, nell'immediato e per rapidissime tappe successive, i componenti dell'ufficio tecnico della Premiata Ditta sparirono alla spicciolata alla volta di altri lidi con un'unica eccezione, lasciando di fatto sguarnito l'intero settore produzione e disperdendo il know how aziendale, che Nerino aveva preferito lasciare alla memoria dei tecnici e di qualche appunto volante anziché sistematizzare in qualche modo perché il rischio era, come sempre, che le informazioni finissero prima o poi nelle mani sbagliate. Insomma, nell'epoca che prospetta l'ufficio senza carta una miriade di informazioni sulla composizione degli articoli, sul costo delle materie prime, sui costi di lavorazione e soprattutto sui terzisti da evitare perché presi in giro (se non proprio truffati) da Nerino era affidata a fogli volanti, faldoni e memoria dei singoli.
E poi a Campo le cose sono sempre state fatte in un certo modo, vale a dire spiegandosi a gesti, interiezioni, imprecazioni e bestemmie; perché mai cambiare un approccio alla produzione e alla vendita che hanno funzionato tanto bene, producendo tanta ricchezza.
Ora, personale commerciale decimato e tecnici spariti significano due cose. Nessuna penetrazione di mercato e nessuno a dare seguito produttivo a eventuali ordinativi. Proprio quello che ci vuole per una ripresa dell'attività.
Il tutto si verificò praticamente in capo a tre giorni, e senza che nessuno si curasse minimamente di correre ai ripari.
Anzi.
Nell'imbrunire di una giornata qualunque a fine gennaio, lo stesso consulente del lavoro nella cui anticamera Patrizio Riva aveva ciondolato chissà quanto in attesa di carne fresca si presentò in ufficio amministazione.
Chiamati uno per volta, due terzi dei superstiti compreso chi scrive si sentirono schiaffare in ferie prima e in cassa integrazione a seguire, sine die e senza prospettiva alcuna. Le sorelle Redentori, facendone dare annuncio al consulente, trovarono anche il modo di risparmiare qualche decina di euro di corrispondenza raccomandata, paludando la cosa dietro la patetica forma della delicatezza verso maestranze tanto fedeli e affezionate. Come sempre in questi casi, mistero e silenzio sovrintendevano alle motivazioni della decisione anche se fu subito chiaro che gli esclusi dalla drastica misura contemplavano Gianna Patrizi e pochissimi altri, il che fa pensare che l'attivismo premuroso dell'Amministrativa Taciturna avesse pesato non poco sulla scelta delle teste da troncare e pazienza se di fatto l'attività della Premiata Ditta ne veniva paralizzata in ogni settore con tanti saluti a qualsiasi prospettiva di ripresa per ipotetica che fosse.
Dopo qualche altro giorno tascorso non è dato sapere come ma verosimilmente ostentando lo stesso attivismo inconcludente che tanto lo aveva fatto disprezzare, Patrizio Riva realizzò finalmente che la Premiata Ditta era un osso tutt'altro che polputo.
Insomma, non c'era nulla da arraffare.
Cosa diavolo ci stava a fare, lui.
Cominciò a dirarare la propria presenza e a diluire il proprio impegno; ad un mese circa dalla visita del suo sodale (e sicuramente complice in chissà quante operazioncine dello stesso costruttivo genere) si congedò dalle sorelle Redentori con due parole per iscritto... e sparì chissà dove.
Non male, come operazione di rilancio.

lunedì 12 febbraio 2018

Continua la breve stagione di Patrizio Riva, consulente sedicente (o sedicente consulente, fate voi).

L'ingresso di Patrizio Riva nella Premiata Ditta risaliva ai primi dell'anno e la stagione avanzava veloce: ferveva il lavoro per preparare le manifestazioni fieristiche di febbraio il cui svolgimento si annunciava più tribolato del solito.
Si è visto che nel suo imperversare scacazzando come un vivace e molesto piccioncino in tutte le attività, in tutte le stanze e in tutti i magazzini, Patrizio aveva criticato, rivisto, corretto in modo arbitrario ma confuso, fermo ma inutile, supponente ma tronfio ogni aspetto della produzione. Si era impicciato persino della grafica della carta intestata, del layout della posta elettronica, del tono e del vocabolario usato dal personale commerciale per rispondere al telefono. In campionario il "consulente aziendale", abbreviato in C.Az. per immaginabili motivi, aveva dato il meglio di sé ingiungendo la messa in pratica di disposizioni che rendevano evidente a chiunque come il suo vero scopo non fosse affatto quello di risollevare le sorti della Premiata Ditta e di chi aveva ancora la dabbenaggine di lavorarci.
Koka Baranidze, pur piegata dal lutto e circondata dal disprezzo palese che si riserva alle favorite ormai in disgrazia, aveva comunque fatto del suo meglio e centinaia di campioni appesi in bell'ordine aspettavano solo di essere etichettati e spediti.
Stop.
Tutto da rifare.
Qui non va bene niente, come al solito.
Patrizio Riva fu perentorio. A pochi giorni dall'inizio del periodo più convulso dell'anno l'intero campionario, comprendente prodotti di ogni genere, venne spedito di corsa in tintoria a fare un bagno nel colore che lui (e lui solo) aveva statuito essere "di tendenza": un nero mai visto, che fu passato senza alcun ritegno su tessuti eterocliti ed eterogenei. "Tinto filo" e "tinto pezza", pelliccette, tessuti a maglia, lino, merletti e tessuti tecnici finirono tutti in un democraticissimo bagno di nero o di antracite o di chissà che altro, con quei risultati ripugnanti che anche chi non distingue un pigmento da un cane lupo avrebbe potuto tranquillamente prevedere.
Al ritorno della merce il C.Az. (ottima e calzante abbreviazione) fece finta di cadere dalle nuvole e fece altrettanto finta di rammaricarsi. Lo sconforto gli passò comunque subito: ordinò di completare lo scempio facendo dare una mano di smalto bianco sulla cassa da imballaggio in legno grezzo con cui da anni e anni si affidavano agli spedizionieri i materiali fieristici e che poi finiva a far parte dell'arredamento dello stand, e se ne tornò tranquillo a casa sua a prepararsi per l'importantissima trasferta di lavoro. Il personale non poté che trarre conferma della convinzione di trovarsi di fronte a un'articolata campagna di sabotaggio, e non certo alla preparazione di un rilancio della ditta e dell'attività in grado di far uscire il bilancio dalle secche in cui boccheggiava. Gianna Patrizi ebbe a tempo debito la fattura della tintoria, che andò a gonfiare il passivo di qualche altro centinaio di euro.
Le manifestazioni fieristiche erano sempre state una vera orgia di spese; sistemazioni alberghiere e trasporti venivano di solito scelti e fissati con molti mesi di anticipo. Viridiana aveva a suo tempo prenotato come sempre hotel e viaggio per il personale, affatto prevedendo che di lì a poco un tizio mai visto l'avrebbe messa alla porta come se nulla fosse. Ovviamente, anche le sistemazioni alberghiere scelte da Viridiana furono pesantemente criticate da un Riva in piena foia da spending review; ormai però le prenotazioni erano state fatte e le caparre versate, per cui almeno sotto questo aspetto dovette ingoiare il rospo, accontentarsi di fare fuoco e fiamme e di limitare il contenimento delle spese alle voci viaggio e catering.
I viaggi aerei furono disdetti, nuovamente fissati, nuovamente disdetti, nuovamente fissati fino a quando Patrizio non riuscì a trasformare le trasferte di lavoro in una via di mezzo tra un'odissea e una partita di gioco dell'oca, a furia di voli a basso costo diretti in aeroporti negletti e lontanissimi.
Per quanto riguarda l'alimentazione, Nerino aveva sempre imposto al personale fieristico cene serali all'insegna di quel lusso grossolano che per lui era una ragione di vita; roba da cento o duecento euro a coperto, per intenderci.
Qui Patrizio Riva toccò il culmine.
Con somma coerenza per le proprie vantate -o meglio millantate- origini e con relativa attenzione alle norme della kasherut, il signor Riva si mise in viaggio per una fiera tessile di importanza mondiale ostentando una corposa mortadella. "Portiamo questa, per mangiare allo stand; giorno dopo giorno compreremo solo il pane."
Della piacevolezza, del clima di sana e costruttiva cooperazione che caratterizzava l'impegno fieristico della Premiata Ditta si è già detto. Si immagini il tutto sotto la direzione di un capetto di questa fatta.
La drastica revisione degli itinerari, decisa personalmente dal C.Az., aveva assicurato almeno una certezza: il due terzi del personale sarebbero arrivati nello stand allestito in un'importantissima manifestazione europea con tutta calma, dopo una notte insonne e a fiera abbondantemente cominciata.
Quanto più un rilancio è impegnativo, tanto più è importante partire con il piede giusto.

domenica 19 novembre 2017

Comincia la breve stagione di Patrizio Riva, consulente sedicente (o sedicente consulente, fate voi).

L'esordio di Patrizio Riva nel ruolo di "consulente" della Premiata Ditta non era stato dei migliori e il (poco) tempo che trascorse fra i musi sempre più lunghi e i bilanci sempre più desolati non contribuì affatto a migliorare la prima impressione che parecchia gente si era fatta di lui. Le uniche a trovarvi un'intesa furono le sorelle Redentori, alle prese con una realtà che giorno per giorno si faceva più schifosa, e Gianna Patrizi, che da tempo aveva in mente le mosse necessarie a togliersi da una situazione che rischiava di farla finire letteralmente in galera.
Alle rampogne che il Riva affastellò fin dal primo giorno sulle maestranze che lo guardavano come si guardano certi strani animali urticanti o mordaci -e la cui sprezzante sufficienza fu come si è visto immediatamente rintuzzata da pacate e documentate disconferme- fece seguito un periodo che delle rivoluzioni e dei rilanci mostrò soltanto gli stravolgimenti, le ingiustizie e le bassezze, senza alcuno dei connotati ideali e propositivi che sono propri di tempi del genere.
Va detto che già nel corso della riunione in cui si presentò alle maestranze Patrizio dette sbrigativo inizio al suo nuovo corso facendosi largo letteralmente a gomitate e chiudendo la porta della sala campionario in faccia a Galeazzo, cui ricordò senza giri di parole che la natura collaborativa del suo rapporto di lavoro faceva di lui uno zero spaccato e comunicandogli che poteva considerarsi fuori dai piedi da quel preciso istante. Galeazzo si trovò senza lavoro, senza reddito e senza spiegazioni che non fossero il piglio deciso di questo prestigioso e volitivo consulente aziendale, e la cosa non gli piacque troppo. Nei mesi seguenti espresse più volte ad alta voce la convinzione di essere arrivato a un niente da investire il mingherlino Riva con la propria automobile e che la cosa non si era verificata solo perché gli era riuscito di accasarsi altrove in tempi relativamente ragionevoli.
A Viridiana toccò subito dopo; tornando in ufficio al termine del fervorino rivierasco i sottoposti la trovarono che racoglieva le ultime sue cose e liberava la scrivania. Dopo oltre vent'anni di lavoro era bastata mezz'ora per estrometterla da ogni cosa con modi che un essere umano -ovvero chiunque non sia un campese- non userebbe neppure per liberarsi di un mendicante insistente. Affinché non ci fossero dubbi di interpretazione sulla perentorietà della sua sorte, nei giorni successivi le fu slegata dietro anche la solita serqua di minacce legali. L'estromissione di Viridiana dalla Premiata Ditta fu perentoria, completa, assoluta e radicale: lo stesso Gaspare non ebbe dal Riva altro che quelle considerazioni scivolose e svicolanti in cui è maestra la marmaglia specializzata in riduzioni del personale.
A dire il vero, Patrizio Riva non era neppure questo: era qualcosa di meno e qualcosa di peggio, come avremo occasione di vedere.
La vedova Redentori e la sorella, tolta da non si sa quale anfratto in cui impacchettava oggetti tutto il giorno e dunque in possesso delle competenze necessarie a ricoprire il triste e logorante ruolo di amministratrice in una situazione del genere, seguivano il Riva che rovistava, giudicava, spostava, inveiva, commentava e confrontava assecondandolo in tutto, e solo in quei giorni presero effettiva contezza del fatto che la voragine lasciata da Nerino rischiava di lasciarle letteralmente in braghe di tela. 
In concreto Patrizio Riva, al netto delle secche geremiadi sulle cose che andavano (nessuna) e su quelle che non andavano (tutte) scompaginò il campionario, massacrò la residua produzione, spulciò i bilanci risaputamente manomessi e passò in rassegna i conti bancari cabriolet intrufolandosi ovunque e imponendo inutili e fastidiosi cambiamenti a prassi e comportamenti consolidati. Insomma, quello che fa qualcuno che sa di essere completamente inutile -se non dannoso- solo per dimostrare che esiste... sempre che non abbia altri scopi.
L'estromissione del Fabrizi e di Viridiana liberò una stanza; il sottoscritto, unica nota positiva, poté finalmente schiodarsi dal ripostiglio in cui si era sistemato anni prima e accomodarsi ad una vera scrivania in un ufficio degno di questo nome.

venerdì 1 settembre 2017

Entra in scena Patrizio Riva, il cialtrone a sei punte

Inizia l'anno nuovo anche nella Premiata Ditta. Tutto sembra filare come al solito: Viridiana Lanucci ha preso molto sul serio la sua funzione di amministratrice -sia pure pro tempore- e fa ovviamente del suo meglio, ma il bilancio continua allegramente a fare acqua da ogni parte e i revisori contabili a far finta di nulla come al solito. 
Le fiere campionarie di settembre, organizzate con vergognoso dispendio di mezzi ma senza pagare un ghello di trasferte al personale mandato all'estero ad ammazzarsi di lavoro per una settimana (secondo la prassi campese), sono state affollate come al solito di curiosi, sfaccendati, maneggioni e rompiscatole assortiti, oltre che di qualche raro cliente. La cosa non deve sorprendere se si pensa che la prima regola di Nerino era sempre stata quella di imbrogliare, ingannare, fregare e abbindolare chiunque gli capitasse a tiro, per qualsiasi motivo e con qualsiasi scusa. Gli appuntamenti fieristici della Premiata Ditta erano sempre stati visti con un misto di imbarazzo e di fastidio dal personale commerciale, spesso costretto proprio in quella sede a rispondere della pindarica amministrazione di Nerino e della sua personalissima concezione dell'onestà e della correttezza. Anche il turn over dei rappresentanti, piuttosto alto nel corso degli ultimi anni di esistenza della Premiata Ditta, in occasione degli eventi fieristici era motivo di silenzi imbarazzati e di articolate e patetiche manovre di evitamento. Da molti anni si era d'altronde dato il caso di personale di Bellestoffe Group letteralmente cacciato dagli stand di altri espositori a motivo dei più che discutibili comportamenti di Nerino, per cui da tempo era già molto se gli appuntamenti fieristici della Premiata Ditta non si concludevano con una totale rimessa. 
Proprio l'insultante sfarzo delle trasferte, con cene in ristoranti dal costo imbarazzante e hotel a quattro stelle, fu pretesto per un burrascoso consiglio di amministrazione in cui la gestione di Viridiana venne passata a pettine fitto da revisori improvvisamente incarogniti, che rovesciarono su di lei le responsabilità di decenni di gestione criminale. Tutti sapevano che Viridiana contava qualche cosa solo sulla carta e che per accusarla a qualsiasi titolo della situazione in essere ci volevano una totale ignoranza, una totale malafede o un miscuglio delle due cose.
All'inizio di gennaio gli eredi Lanucci avevano cominciato a capire in che razza di situazione si fossero venuti a trovare; Teresa Redentori, che non si era mai occupata di nulla ed aveva vissuto fra gli agi che Nerino non le aveva comunque fatto mancare, era convintissima di poter salvare il salvabile e aveva quasi metabolizzato l'effetto del primo apparir del vero. In questo, lei e la sorella Immacolata erano state oggetto di amorevoli rassicurazioni da parte di Gianna Patrizi: i crediti bancari ancora disponibili e un corposissimo portafoglio clienti erano ottima garanzia per il futuro. Niente era perduto, insomma. Con un congruo numero di licenziamenti scelti con cura e l'immissione di competenze pronte e sbrigative la situazione poteva senza dubbio essere gestita al meglio. 
Naturalmente nulla di tutto questo corrispondeva al vero. I fidi bancari aperti in due o tre istituti erano una voragine milionaria, e il portafoglio clienti era corposissimo... perchè negli indirizzari figuravano centinaia di prestigiose imprese con cui la Premiata Ditta non aveva rapporti da anni in virtù dei motivi su ricordati. Al momento del tempestoso consiglio di amministrazione di cui sopra stavano tra l'altro materializzandosi le conseguenze di uno degli ultimi colpi di genio di Nerino. 
Gianna Patrizi mentiva sapendo di mentire. Perfettamente consapevole della situazione, doveva ad ogni costo evitare che individui poco compiacenti mettessero il naso nella contabilità e potessero far presente agli eredi la sua corresponsabilità in quella che era una bancarotta fraudolenta bella e buona. Nel corso degli anni tutto Bellestoffe Group aveva malignato circa i suoi rapporti con Nerino che le avevano fruttato, si diceva, addirittura una bella casa in un quartiere signorile o l'arredamento della stessa, a seconda delle voci. 
Pur di evitare imbarazzanti spiegazioni se non proprio la galera, Gianna fece e strafece. 
Per sapiente caso (il mondo è veramente piccolo) nell'anticamera dello studio di commercialista in cui si tenne il consiglio di amministrazione che esautorò Viridiana delle sue ultime prerogative e la spedì a casa a calci dalla sera alla mattina ciondolava un individuo basso ma robusto, borioso ma ciarliero, cinico ma profittatore. 
Immediatamente dopo la fine del consiglio di amministrazione Patrizio Riva piovve dalla luna direttamente negli uffici della Premiata Ditta, portandosi dietro Teresa e Immacolata e promettendo minaccioso che con l'indomani tutto sarebbe cambiato
L'indomani venne convocata una riunione plenaria in sala campionario. Era la quarta in dieci anni. La terza era stata dopo la morte di Nerino; le altre due si erano compendiate di invettive senza capo né coda. Comodamente assiso a capo del preziosissimo tavolo antico a cui Nerino riceveva complici e sodali, Patrizio Riva calpestò sbrigativamente tutte le maestranze. Inutili cialtroni pigri e sciocchi che non eravamo altro: lui sì che ci sapeva fare, lui sì che sapeva come ci si comporta nelle fiere, con i clienti, con la produzione. Lui aveva lavorato dai Fratelli Questi, alla Tessile Codesti e al Quelli Pronto Moda, altro che Premiata Ditta. Che cos'era quest'aria dimessa, da poveri sciatti? Forza: pulire, riassettare, sistemare, muoversi! 
Povero Patrizio. Non aveva fatto i conti con Pino Pierini. 
La gravità dell'ora aveva reso Pino più magro, muscoloso e arcigno che mai. Alzatosi serissimo dal proprio scranno, e scandendo bene nomi e cifre, il signor Pierini ricordò a Parizio Riva come i Fratelli Questi fossero falliti cinque anni prima, che la Tessile Codesti era in amministrazione controllata e che la Quelli Pronto Moda aveva chiuso l'esercizio precedente con un passivo da tenere sveglio la notte anche un imperatore delle finanze. Esiti un po' strani, per uno tanto competente e tanto determinato. 
Patrizio non incassò bene: glissò e passò a vantare le proprie origini ebraiche e i propri stretti contatti con la Parte Indaco, una formazione di muscolosi tatuati che una volta l'anno in una vicina grande città contendono ai loro simili dei Pervinca, degli Ocra e degli Arancio la posta di un gioco folkloristico noto per la violenza sanguinaria dei suoi adepti. 
Un paio di domande tecniche precise, avanzate immediatamente e con una certa noncuranza misero subito in chiaro che il signor Riva non disingueva un tallit da un kibbutz. 
A riunione ultimata, una telefonata a un esponente degli Indaco provvide a chiarire che da quelle parti non conoscevano nessun Patrizio Riva. 
Per dare esauriente prova delle proprie competenze, al signor Riva era bastata qualche ora. 
Giusto il tempo di arrivare alla pausa pranzo.