domenica 27 marzo 2016

Un Cambronne di provincia

A circa un mese di distanza dalla morte di Nerino Lanucci la Premiata Ditta pare si sia rimessa in carreggiata; il timone ce l'ha Viridiana Lanucci che si è addossata stoicamente l'incombenza ma che a giudizio di tutti, in Bellestoffe Group, non è in grado di interiorizzare implicazioni, incombenze e conseguenze del suo nuovo ruolo.
Titolare solo sulla carta, la sorella di Nerino si è sempre rimessa alle decisioni del fratello che tollerava critiche, consigli ed osservazioni come un toro tollera il rosso, anche perché dietro ogni abbozzo di critica, ogni consiglio, ogni osservazione -specie se avanzati da soci o (peggio) sottoposti- poteva celarsi un tentativo di capire qualcosa di una gestione risaputamente ai limiti del delinquenziale. Viridiana è arrivata dunque alla piena maturità assolutamente digiuna di qualunque competenza gestionale e manageriale e, cosa altrettanto grave, in rapporti meno che buoni con la cognata.
Teresa Redentori vedova Lanucci non si era mai curata di informarsi in maniera troppo accurata delle attività "imprenditoriali" del marito, limitandosi a vivere tra gli agi senza porsi troppe domande; aveva dovuto cambiare registro ad esequie avvenute, perché le pratiche per la successione dovevano comunque prendere il via.
Al suo inatteso presentarsi in ditta per recuperare vari effetti personali di Nerino, ivi compresi il pc portatile ed i famosi telefoni, chi scrive fu caldamente consigliato da Viridiana di rendersi irreperibile e di non fare parola né dei cellulari né delle proprie competenze e prerogative in materia di password, dati personali e quant'altro.
Nerino aveva occupato un ampio ufficio dipinto a colori chiassosi e lo aveva arredato con un guazzabuglio di mobilacci da due lire che nelle intenzioni dovevano fare da contraltare al prezioso antiquariato che rendeva una visita all'ufficio del Padre Fondatore Numero Uno impegnativa come un tour museale. Come toilette d'elezione Nerino usava quella dirimpetto all'ufficio, e chi scrive andò a rintanarvisi proprio mentre la vedova Lanucci saliva le scale.
I sanitari -due, in due box distinti- presentavano abbondantissime tracce di recente e poco rispettoso utilizzo.
Mesi prima su ordine di un Nerino più indisponente del consueto si era dovuto provvedere a cartelli che esortavano l'utenza a lasciare tutto quanto in accettabili condizioni di igiene. In un ambiente di lavoro in pieno XXI secolo, frequentato per lo più da ultratrentenni con famiglia a carico, si era dovuti arrivare ad occuparsi di tanto vitale questione perché qualche astioso appartenente al personale impiegatizio si era accorto degli orari di discarica delle interiora del "signor" Lanucci, e faceva spesso in modo da fargli trovare il bagno in condizioni ripugnanti allontanandosi poi senza che Nerino fosse mai riuscito a coglierlo sul fatto.
A quanto si poteva constatare l'abitudine era proseguita anche dopo la dipartita di Nerino, l'aveva avuta vinta sull'industrioso affaccendarsi del personale delle pulizie e aveva fatto di quella stanzetta un ambiente pochissimo piacevole raccomandazioni nonostante.
Degno di escrementi da vivo, degno di escrementi da morto.
Un quadro rivelatore, abbandonato con premura appena la vedova ebbe imboccato la porta dell'ufficio.

lunedì 21 marzo 2016

I debiti vecchi non si pagano e quelli nuovi si fanno invecchiare

Roma non fu distrutta in un giorno, e si converrà che occorre del tempo anche per distruggere una ditta tessile.
L'opera di distruzione passa anche dall'instaurazione di una nomèa e di una aneddotica che spingano fornitori e prestatori d'opera a prendere le distanze, ed il miglior modo per farlo è ovviamente quello di non onorare gli impegni. In questo scritto si illustra dunque un caso particolare: come distruggere la credibilità della propria azienda presso un'impresa di trasporti.
Al pari di molte altre realtà produttive una ditta tessile ha bisogno di veicolare prodotti, materie prime e semilavorati, sia che si tratti di pezze finite sia che si tratti di materiali da affidare a lavorazioni esterne o di buste di campioni da far arrivare a chicchessia. Per la città di Campo e dintorni, la poca clientela in zona e le lavorazioni locali sono sufficienti furgoni e furgoncini, quando non le autovetture dei dipendenti, che il signor Lanucci non disdegnava certo di mandare qua e là con le più varie incombenze senza ovviamente riconoscere alcun rimborso.
Per il resto del mondo tocca affidarsi a corrieri e spedizionieri.
Negruzzi e Benamozegh è il più grosso spedizioniere di Campo. Il padrone superstite (il signor Benamozegh è morto qualche anno fa) era amico dei Padri Fondatori da un secolo, sicché i pagamenti non erano mai stati un problema né per limiti di tempo né per quanto riguarda la peculiare abitudine campese che consiste nel ritoccare al ribasso qualunque cifra sia dovuta.
A Campo vige infatti una prassi particolarissima e il più delle volte genericamente accettata, qui illustrata nel dettaglio, che consiste nell'autoattribuzione di uno sconto più o meno sostanzioso nei pagamenti.
Nel caso specifico, se le pezze dirette a Bucarest, quelle inviate a Stavropol e quel rientro di merce rifiutata dal cliente di Bruxelles hanno fatto emettere al signor Negruzzi (e, in spirito, al signor Benamozegh) una fattura da 1124,90 euro, il padrone ordinerà al proprio reparto di amministrazione ed a proprio assoluto arbitrio di effettuare un bonifico di 1100,00 euro nei casi normali, di 1000,00 euro nei casi più spregiudicati, e di 0,00 euro nel caso della Premiata Ditta.
In altre parole, nell'ufficio amministrativo della Premiata Ditta il doppio faldone riservato alle fatture di Negruzzi & Benamozegh era gonfio di fatture non pagate che andavano accumulandosi da un anno all'altro ed il cui totale aveva raggiunto l'equivalente del costo di una civile abitazione. 
Due mesi prima della scomparsa di Nerino Lanucci si svolse negli stabili aziendali una immonda partita di rimpiattino. Dopo una quantità di scuse, dinieghi, rinvii e prese in giro belle e buone Nerino aveva dovuto acconsentire ad un incontro col signor Negruzzi. Solo che il giorno dell'appuntamento... aveva pensato bene di non farsi trovare.
L'ultrasettantenne Negruzzi dovette appostarsi all'ingresso, al desk, per aspettarlo.
Al suo arrivo qualche indefinibile tempo dopo, lo investì ovviamente di invettive, proseguite poi nella adiacente saletta riunioni.
Dopo un bel po' di strepiti ed essere arrivato come d'uso ad un niente dallo scontro fisico, Negruzzi se ne andò sbattendo la porta, tacciando il Lanucci di ladro ed ingiungendogli di non usare mai più i servizi della sua impresa: nemmeno per mandar via una busta.
Il tutto sotto gli occhi di soci, maestranze e collaboratori di Bellestoffe Group, richiamati in zona dalla zuffa e da tempo comunque abituati a vedere questo ed altro.

sabato 19 marzo 2016

Prime crepe, primi nodi

"...Ah, qualcuno ha stappato lo spumante davvero: per esempio quelli della Ditta Acme, che li ha fatti fallire lui a furia di non pagare le fatture..."

Considerazioni espresse ad alta voce da un magazziniere di lungo corso.

Nel pieno dell'estate e a qualche settimana appena dalla scomparsa di Nerino vengono al pettine i primi nodi seri, e il suo gretto mondo di lussi da pescecane comincia a mostrare le prime crepe.
Nello stolto vitalismo "imprenditoriale" che lo caratterizzava, immediatamente dopo aver ricevuto da Bellestoffe Group un brusco congedo (su tutta la vicenda avremo occasione di dilungarci in una prossima occasione), Nerino aveva aperto un'altra piccola impresa tutta sua, la Titta's.
Aveva cooptato due signori freschi reduci da una débacle ma con un bel campionario di tessuti denim: ovviamente in capo a qualche mese i due capirono in che ambientino si erano andati a cacciare e non tardarono a trarre conclusioni piuttosto brusche sul clima organizzativo e sui "valori" del Nostro, congedandosene uno dopo l'altro -peraltro in modo assai urbano- e lasciando la Titta's senza reparto tecnico e senza reparto commerciale dopo meno di un anno. Durante una giornata abbastanza tesa uno dei tecnici arrivò ad apostrofare sprezzante Nerino riguardo a Koka Baranidze, quella sua amichetta che dal campionario avanzava pretese e interferenze forte del proprio ruolo, comportandosi come l'ennesimo bastone tra le ruote della produzione.
L'ennesimo bastone tra le ruote, perché lavorare per la Titta's voleva dire procedere alla giornata, a prezzo di fatiche schifose e in mezzo a problemi di ogni genere, dovuti anche al fatto che i mancati pagamenti ai terzisti che per il Lanucci erano un modo di fare abituale costringevano il personale della Titta's e quello della Premiata Ditta a mantenere addirittura le distanze fisiche dalla sede di certe imprese creditrici, per ridurre al minimo il rischio di essere riconosciuti e di subire manesche rappresaglie.
Impiantare Titta's aveva richiesto un certo sforzo economico; orbata di quattro quinti del personale, la ditta non ripagò neppure in minima parte le spese di impianto e sostanzialmente non produsse mai un centesimo di utili, al punto da far pensare che l'intenzione di Nerino, qualunque fosse, non era certo quella di utilizzarla per ricavarne dei proventi ma se mai quella di usarla come discarica per magagne, seccature e soprattutto passivi di altra provenienza, arraffando magari qualche articolo interessante dal campionario denim su ricordato e rivendendolo poi con la Premiata Ditta.
Alla morte di Nerino, la Titta's perdeva centinaia di euro ogni giorno per il solo fatto di esistere e tutta la sua attività si compendiava di qualche articolo messo a listino e venduto dalla Premiata Ditta col sistema su descritto. A tenere il forte, un superstite impiegato commerciale che per l'ingarbugliata serie di vicissitudini sentimentali e familiari che aveva imbastito era costretto a praticare quella Sopravvivenza Dura che dei fronzoli e degli Entusiasmoni se ne strafrega, e che se mai avrebbe vitale bisogno di un po' di tranquillità e di certezze.
Relegata in una sala al primo piano e condividendo strumenti, mezzi ed ambiente con la Premiata Ditta -il cui personale lavorava per entrambe le ragioni sociali con tanti saluti alla legislazione sul lavoro- in quel mese di luglio la Titta's ebbe un'eutanasia informatica ed organizzativa rapida e semplice, con lo spegnimento e il distacco dalla rete dei tre pc e delle due stampanti di competenza, con la chiusa a chiave della stanza e con la sua rimozione dalla lista degli ambienti con i condizionatori abilitati.
Sulle vestigia assolate della Titta's la temperatura iniziò a crescere.
Cominciò a far caldo.
Mai tanto caldo quanto ne faceva altrove a chi l'aveva messa in piedi, naturalmente.

venerdì 4 marzo 2016

Andare avanti

Tra una cosa e l'altra chi scrive ha lavorato per Bellestoffe Group per una quindicina d'anni e in tutto questo tempo avrà partecipato, forse, a tre riunioni aziendali. Questo in un mondo in cui in teoria ci sono riunioni continue, il più delle volte eccellenti come scuse per non rispondere al telefono e per farsi gli affari propri, magari non visti, in qualche angolo degli uffici.
Le prime due sono state un proseguimento delle invettive quotidiane con altri mezzi: il padrone sbraitava, e stop.
La settimana dopo l'inumazione del caro estinto (o il sotterramento del cacca, a seconda della fazione con cui ci si vuole schierare) si tiene invece un'assemblea dai toni molto ovattati e composti, e c'era suo motivo.
In minuti sei e mezzo Viridiana Lanucci, sorella del padrone e titolare di una manciatina di azioni, spiega di aver fatto le mosse necessarie "per far ripartire la ditta" e che "tutti d'ora in poi devono impegnarsi doppiamente".
Fine.
Seduta accanto a chi scrive, silenziosissima, la ex favorita Koka Baranidze che ha ottimi motivi per tacere e meditare. L'Onnipotente ed irato Dio del Vecchio Testamento, quello che scaglia urlando nell'Abisso l'animaccia nera dei fornicatori perché le tocchi per destino l'eterna dannazione, aveva già iniziato a presentarle il conto della sua più volte emersa propensione alla delazione.

Lavorare in un campionario tessile significa scegliere, sovrapporre, tagliare, incorniciare e spedire pezzi di stoffa e cartelle colori. Il lavoro non è pulitissimo e ci si impolvera un po' cosicché le campionariste non sono solite fare sfoggio di eleganza: abbondano tute da ginnastica, pantaloni militari e altri indumenti resistenti e comodi. Koka Baranidze invece si presenta ogni mattina (con molto comodo, come si è visto) in tacco dodici ed abbigliamento ricercato: una miriade di capi che molto difficilmente potrebbe concedersi con le sole entrate del proprio lavoro.
Di quello ufficiale, almeno.
Così conciata ha percorso in via ahilei provvisoria un bel pezzo di carriera: campionarista, capo campionarista (il padrone cacciò l'altra dipendente, con ogni evidenza meno disponibile di quanto avrebbe dovuto), accompagnatrice ufficiale (i piccioncini andarono insieme a Tokio ad una fiera tessile lasciando a casa il personale del commerciale estero... perfetto, avanti tutta così), responsabile immagine, stilista.
Con quel nefasto giorno di fine primavera, dalla sera alla mattina la povera Koka si è trovata peggio della Du Barry.
La contessa du Barry è stata l'ultima favorita di Luigi XV, quella che alla morte del sovrano venne allontanata con sollecitudine dalla reggia di Versailles che è un modo delicato per dire che la schiodarono di lì a calcagnate nel solco perineale. Dopo qualche annetto se ne rammentarono i rivoluzionari, che prima la frugarono bene bene a caccia di quattrini residui e poi le fissarono un appuntamento la mattina presto in piazza: un certo Sanson cercava modelle civettuole per sperimentare una cura radicale per i capelli bianchi.
Prima però dicono che ci volle del bello e del buono a tenerla ferma in dodici e a legarla come un salame, ché non ne voleva sapere di star buona, accidenti a lei. Guarda un po' te se un onesto carnefice di stato deve far di queste sudate...
Fatte le debite proporzioni e soprattutto stante l'assenza di ghigliottine utilizzabili, alla favorita del de cuius repentinamente a contatto di gomito con decine di persone che la disprezzavano e senza nessuno che la difendesse nemmeno in nome di una qualche residua carità cristiana, toccò da quel giorno in poi una lunga, lunga, lunga serie di risatine di scherno, rutti in faccia emessi per sapiente caso e vaffanculo a mezza bocca.

giovedì 3 marzo 2016

Gli spiccioli del giorno dopo

Un mercante arabo che aveva perduto mille denari disse a suo figlio: "Tieni per te questa triste notizia". " Padre", replicò il giovanotto, "ti obbedirò, purchè tu mi spieghi per qual motivo dobbiamo tacere la nostra sventura". " Affinchè non ce ne siano due: la perdita del denaro e la gioia maligna dei vicini".
Cesare Marchi

Verso le dieci di mattina, qualche giorno dopo l'inizio dell'armageddon aziendale.

"...MA TI SEMBRA QUESTA L'ORA DI ARRIVARE?! IN QUESTA DITTA SI ENTRA ALLE OTTO E MEZZO, EH!"
"...Galeazzo, ma con chi ce l'hai...?"
"...Ce l'ho con chi arriva a lavorare alle dieci, ce l'ho!"

Galeazzo, antico socio del padrone, ha evidentemente ricevuto alcune incombenze di un certo tipo data la gravità dell'ora.
Bersaglio dell'invettiva era Koka Baranidze, appena ripresentatasi in ditta dopo una settimana buona di lutto stretto: su una cosa le maestranze sono tutte d'accordo, nel far capire a lei e ad altre corpivendole dal passato e dal presente più o meno discutibile che i tempi sono cambiati di brutto e che lo scotto da pagare per certi disinvolti comportamenti sarebbe stato piuttosto alto.
D'altro canto, succede spesso che i delatori facciano una brutta fine appena i loro servigi non sono più necessari: figuriamoci cosa non rischia un'infame abbandonata senza preavviso a quanti hanno fatto in più di un caso le spese della sua intraprendenza. 
Insomma, la ex favorita bersaglio dell'invettiva si allontanò senza una parola, salì sulla propria vetturetta di lusso (una variante da mantenuta, irta di finiture ridicole) e si allontanò impermalita dalla fabbrica per andare a metabolizzare chissà dove il repentino mutamento delle proprie condizioni.
La padrona dovette richiamarla al telefono.
Nel corso della stessa mattinata iniziano a scoppiettare battute come quelle che seguono.
Tecnico tessile maturo, capelli lunghi ed esperienza di lungo corso come tastierista progressive: "...Aspetta, questa roba qui bisogna farla vedere a Koka giù in campionario..."
Tecnico tessile giovane, attento alle mode quel tanto che basta, e q.b. versato nelle competenze del calcetto a cinque e a sette: "...Non se ne parla neppure... Io a quella là non faccio vedere proprio più un bel niente..."
Pino Pierini, ormai fissamente di ottimo umore: "...Guarda a cosa gli è servito mettere i piedi in testa a tutti, sempre, tutta la vita... eh? A cosa gli è servito...?!"
Il sottoscritto: "Difatti: ora come ora non può nemmeno decidere se abbassare o no il riscaldamento..."
In capo a pochi giorni chi scrive è riuscito, con un impegno davvero minimo, a convincere anche i più razionali circa la destinazione ultima del de cuius. Nei mesi a venire la cosa sarà oggetto di scenette e gag a cadenza quotidiana, che caratterizzarono un clima aziendale decisamente rilassato e sereno.

mercoledì 2 marzo 2016

L'agenda segreta di un business man

Il giorno dopo piombano in ufficio allo scrivente (un antro senza finestre condiviso con l'archivio, lo hardware e il rack dei server) Viridiana Lanucci e Galeazzo Fabrizi.
Sorella di Nerino, Viridiana avrà verosimilmente il compito di reggere almeno pro tempore le sorti della Premiata Ditta. Il Fabrizi invece è stato socio del de cuius in un mucchio di intraprese, non tutte fortunate.
Anzi.
I due hanno un paio di ciarlofoni cellulari ultimo modello. Nerino ne sbriciolava almeno uno ogni due mesi -di solito sedendocisi sopra- ed è stato fra i primi a Campo a distruggere uno Iphone.
Insomma, prima di consegnarli ai familiari, i due telefoni andrebbero ripuliti...
Quali segreti aziendali nasconderanno mai?
Neanche uno.
Molto più semplicemente sono strapieni di SMS e foto di Koka Baranidze ritratta in situazioni di sollazzo: pose da diva in locali di presunta raffinatezza e di sicuro costo, pose da diva sulla Bentley di Nerino, pose da diva sulla Saab di Nerino, pose da diva nella ditta di Nerino, pose da diva in qualche hotel o scannatoio in uso a Nerino.
Insomma, non sarebbe delicato far arrivare tutto questo direttamente in mano alla signora, vedova da qualche ora appena.
Il qui presente si rifiuta categoricamente di ripulire gli apparati: non è affar suo ed oltretutto è un'azione penalmente perseguibile. Si fa in tempo a vedere che Koka Baranidze aveva inviato alle dieci e qualcosa della sera fatale un messaggio a Nerino, chiedendogli cose del tipo "dove 6? xchè non rispondi?" "Ma lo so ke 6 in giro a skopazzare" e via dicendo. Alle dieci e mezzo de la tarde Nerino si trovava già all'altro mondo e probabilmente aveva appena scoperto con una certa costernazione non soltanto che la location destinatagli per il soggiorno eterno non somigliava molto allo Hotel Ritz, ma che c'era anche l'uso di non abbassare mai il riscaldamento.
Ecco: l'ultimo messaggio di Koka era qualcosa come "ma xchè non rispondi?! Sei morto?!".
Grandiosa, tanto nella forma quanto nel tempismo era davvero difficile far di meglio.
Si vince senza fatica la tentazione di premere qualche tasto e di risponderle "Sì", tanto ormai Koka lo sapeva benissimo, e si provvede a mandare praticamente a quel paese Galeazzo e Viridiana, una congiunta e (purtroppo per lei) socia di minoranza che scoprirà presto di dover affrontare un lungo periodo tutt'altro che piacevole e ricchissimo di brutte ed umilianti sorprese.
I due spariscono coi telefoni e fanno mancare loro notizie per il resto della giornata.
Nerino aveva in effetti una rubrica piuttosto fitta, e un mucchio di messaggi che denunciavano tacchinaggi più o meno espliciti il più delle volte andati anche a segno: molte giovani donne si mostrano condiscendenti nei confronti di simili individui. Aveva dato corda addirittura a qualcuno di quei phishing per dementi che in una lingua traballante asseriscono venire da splendide ragazze russe in cerca di amicizie maschili.
La Cloaca Maxima non fu riempita in un giorno: anche ad un compiuto ritratto di Nerino Lanucci si deve dunque accostarsi poco per volta.

...E Koka Baranidze, che era sparita all'apparir del vero?
La sua assenza, che dura ormai da tre o quattro giorni, viene ovviamente notata nonostante il trambusto.
Pino Pierini è il sanguigno magazziniere anziano: sessanta e passa anni di magrezza, muscoli e incazzatura, non si contano le volte in cui è arrivato ad un niente da agguantare Nerino per il collo e sbatterlo contro la parete, mocassini di pitone e tutto il resto.
Lo si incontra in corridoio.
"...Eh, visto? Visto? Noi qui tutti a lavorare e lei da quattro giorni al muro del pianto... Oh ma le cambieranno le cose, uh, se le cambieranno! Già hanno cominciato a cambiare, sì! Solo che ora noi qui tutti a lavorare e lei a fare quel che le pare come al solito... Ma adesso basta, col doppio stipendio a nero, tutti i capi firmati e l'affitto pagato... Ché a casa sua non lavora mica nessuno: li manteneva tutti lei, con il bel sistema che sappiamo..."

martedì 1 marzo 2016

Le commosse esequie

I funerali di Nerino Lanucci si tengono dopo qualche giorno in una chiesa stracolma nella località di Izzo, nel finitimo comune di Vallepirlo.
Gli intervenuti sono una vera folla che fatica a stiparsi all'interno della pieve e che soprattutto non si contraddistingue per le attestazioni di dolore e di commozione. Domina al contrario un'atmosfera relativamente rilassata -per non dire chiassosa- e ci sono anche molte persone che compiono gesti poco compatibili con la dignità del luogo. In fondo alla chiesa per esempio si riunisce presto una vandea che chiacchiera di pallone, spaparanzata sulle panche con le mani in tasca e le gambe accavallate. Ogni tanto escono gruppi di due o tre persone che vanno a farsi un caffè al bar di fianco e ritornano dopo una quantità di tempo in cui sarebbe tranquillamente entrato un pranzo di due portate, ostentando un atteggiamento disinvolto e davvero ristorantesco.
Fendono la folla lagrimose la vedova e le figlie, raggiunte dall'altrettanto addolorata rappresentante turkmena Solyanka Moskowitz che si è fiondata a Campo con il primo volo disponibile.
In questo è stata imitata da un certo numero di corrispondenti esteri e rappresentanti, un'umanità in cui pullulano lestofanti, viscidi, cialtroncelli, profittatori, pigri e puttanacce pure e semplici accomunati soltanto dal contratto a suo tempo stretto con la Premiata Ditta.
Nel corso del rito Padre Fondatore Numero Uno e Padre Fondatore Numero Due pronunciano l'elogio funebre dell ex socio. Il primo facendo intendere alle maestranze della Premiata Ditta, e direttamente dal pulpito, che per quanto riguarda lui possono praticamente andare a farsi stritolare le chiappe. Il secondo chiudendo il più che scarno elenco di meriti del per nulla compianto estinto, riempito a fatica grazie a luoghi comuni dozzinali, con espressioni del tipo "e pensare che non eri neppure campese". L'affermazione può sembrare strana; va allora ricordato che agli occhi di industriali e imprenditori della città di Campo, ma anche a quelli del campese qualsiasi, non esiste merito capace di cancellare il peccato originale costituito dalle origini extracittadine, sia che le si debba ricercare in qualche borgo finitimo sia che si perdano in più remote lande, nebbiose o assolate che siano.
Si sarà capito che a stipare per un'oretta la chiesa di Izzo è un sacco di gente venuta ad assicurarsi che Nerino fosse morto schiantato davvero, e morto schiantato sul serio.
Ancora deve disperdersi l'odore dell'incenso che si percepisce difatti il tintinnar delle scimitarre pronte a scintillare al sole. A levare alto lo stendardo della vendetta c'è uno stuolo di creditori, gabbati, truffati, maltrattati e falliti per colpa del de cuius, finalmente intenti ad affilare le armi e soddisfattissimi di aver potuto constatare personalmente che le maledizioni funzionano.
L'atmosfera generale, punteggiata di sghignazzi e di gomitate allusive, ricorda i "fedeli bisbiglianti di cambiali e di contanti" di un'anticlericale poesia del Carducci; i pochi cattolici praticanti che ben conoscevano la profonda devozione che caratterizzava il festeggiato si sorpendono del fatto che all'aspersione l'acqua santa non svapori sfrigolando dal cofano funebre, levando un olezzo sulfureo.  
Siccome non si può lasciarlo in giro come se nulla fosse, anche se l'ipotesi troverebbe fra i presenti un buon numero di sostenitori, alla fine arrivano anche quelli dell'agenzia funebre e portano via il protagonista della giornata per andare a sistemarlo in un cimitero a qualche paese di distanza. Il consesso si scioglie e ce ne andiamo tutti per i fatti nostri: chi in ditta a far finta di lavorare, chi all'inumazione a far finta di essere dispiaciuto.