domenica 7 agosto 2016

Gestire un magazzino tessile: il segreto dell'insuccesso.

La distruzione meditata e metodica di un'impresa non può basarsi soltanto sulla devastazione della rete dei rappresentanti e sulla perdita di qualsiasi fiducia presso gli spedizionieri e presso i fornitori in generale. Devastare il magazzino del prodotto finito è altrettanto sostanziale: una sua pessima gestione faciliterà di molto la rottura dei rapporti con i soci e consentirà al pidocchio salito in gloria che nella vita si è sempre fatto largo a gomitate di rimanere più facilmente solo al comando, finalmente indisturbato a scialacquare con metodo ogni introito.
Alcuni anni fa la Premiata Ditta, allora compartecipata da più soci e denominata Bellestoffe Tela, fu chiamata a traslocare. Era pronto, a qualche chilometro dalla sede originaria, un immenso complesso di due edifici con magazzini sterminati e uffici pieni di marmi e cartongessi (soprattutto cartongessi), ori e princisbecchi (soprattutto princisbecchi).
Tutte queste circostanze hanno un qualche impatto sul turnover del personale. Mentre il sottoscritto imballava e inventariava stampanti, computer ed altri apparati di sua competenza, ebbe dunque ad assistere alla seguente scena.
Un signore entrato da poco nella nostra felice famigliola con il titolo di magazziniere andò tranquillo da Pino Pierini e con fare familiare gli affibbiò una forte pacca sulla schiena: "Sai cosa ti dico? Tu restaci pure, a lavorare qua dentro...!"
Dimissioni, sparizione.
Un breve giro di domande fece emergere una realtà smozzicata ma concreta: "...Eh, che vuoi, lavorare qui in magazzino, se uno non sa come deve comportarsi e pensa di dover fare un lavoro accurato..."
Svariati anni dopo, con la per nulla lagrimata scomparsa del padrone, emerse l'arcano.
O meglio, parte dell'arcano.
Il signor Lanucci aveva cura di scegliere il personale in modo oculato: nessuna obiezione, poche competenze, retribuzione commisurata alle competenze.
Un magazzino tessile, sia detto per chi non ne ha mai visto uno, è costituito da una serie di incastellature e scaffalature; vi predominano le cosiddette "gabbie", recipienti in ferro e truciolato che è facile spostare con i carrelli elevatori. Sparsi sugli scaffali e nelle gabbie ci sono gli articoli commerciati. In questo caso, pezze di tessuto di larghezza variabile tra il metro e quaranta e il metro e ottanta per una lunghezza tra i venti e gli ottanta, ciascuna avvolta su un'anima cilindrica di cartone. Esistono delle macchine imballatrici in grado di avvolgere nella plastica trasparente ogni pezza e di termosaldarne i lembi e le aperture, cosicché una pezza pronta per la spedizione ricorda una grossa caramella.
In ciascuna gabbia possono trovare posto svariate decine di pezze, per un totale di qualche migliaio di metri di prodotto finito.
Una gestione responsabile di un magazzino di prodotto finito, la cui stessa esistenza è la bestia nera di ogni imprenditore tessile perché denuncia la presenza di un invenduto le cui sorti sono potenzialmente incerte, prevede l'enumerazione dei materiali in entrata e dei materiali in uscita e l'inserimento dei dati nel sistema informatico gestionale. In pratica, se entrano in magazzino cinque pezze dell'articolo Steekutsie color verde pistacchio, una consultazione deve restituire cinque pezze con la debita matricola e la debita lunghezza. Quando una certa quantità di articolo Steekutsie verde pistacchio viene venduta, dal magazzino deve uscire la stessa quantità.
Ecco, nella Premiata Ditta questo non sempre succedeva, e non certo per trascuratezza od imperizia.
In magazzino entravano ed uscivano indeterminate quantità di materiali che sfuggivano ad ogni enumerazione e ad ogni controllo, oppure figuravano soltanto in ingresso andando a gonfiare il database di merce inesistente.
Come mai?
Presto detto. Non è che Nerino Lanucci avesse una concezione un po' particolare della collaborazione e della lealtà nei confronti dei soci in affari; semplicemente, non ne aveva alcuna.
I suoi rapporti privilegiati con Solyanka Moskowitz consentivano a Nerino di recepire in via informale da lei un ordine per -diciamo- cento pezze del suddetto Steekutsie verde pistacchio. Solyanka provvedeva a passare alla Premiata Ditta, stavolta formalmente, un ordine per cinquanta pezze, che erano quelle che risultavano su ogni movimento di magazzino e su ogni transazione. Le altre cinquanta, debitamente inviate e spedite con tutte le altre alla volta di Turkmenbashi o di Asghabad, venivano pagate a Nerino brevi manu e Nerino ometteva solitamente di informarne i soci. Il tutto, ovviamente, richideva una pronta complicità anche da parte del personale amministrativo, ed anche in questo caso non esisteva alcun problema perché anche i rapporti di Nerino con Gianna Patrizi erano da sempre improntati alla massima trasparenza, come avremo modo di vedere.
Anni ed anni di fruttuosi affari con la signorina -poi signora, poi signorina di nuovo- Moskowitz permisero a Nerino di incamerare (e di sperperare) cifre considerevoli alle spalle della torma di associati, che stanti quelle che parevano vacche grasse inesauribili lasciarono correre per moltissimo tempo. La farsa giunse al punto che in un anno imprecisato del millennio presente in contabilità figurò un movimento di molte decine di migliaia di euro in favore della signora (o signorina) Moskowitz, privo di qualsiasi giustificativo dal punto di vista del fatturato e delle provvigioni. A fronte di qualche domanda degli altri soci, dettata più da curiosità che da altro, Nerino non fece che stringersi nelle spalle ed asserire che la Solyanka aveva avuto bisogno di soldi e che aveva provveduto lui, con la generosità che gli era propria...

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