domenica 19 novembre 2017

Comincia la breve stagione di Patrizio Riva, consulente sedicente (o sedicente consulente, fate voi).

L'esordio di Patrizio Riva nel ruolo di "consulente" della Premiata Ditta non era stato dei migliori e il (poco) tempo che trascorse fra i musi sempre più lunghi e i bilanci sempre più desolati non contribuì affatto a migliorare la prima impressione che parecchia gente si era fatta di lui. Le uniche a trovarvi un'intesa furono le sorelle Redentori, alle prese con una realtà che giorno per giorno si faceva più schifosa, e Gianna Patrizi, che da tempo aveva in mente le mosse necessarie a togliersi da una situazione che rischiava di farla finire letteralmente in galera.
Alle rampogne che il Riva affastellò fin dal primo giorno sulle maestranze che lo guardavano come si guardano certi strani animali urticanti o mordaci -e la cui sprezzante sufficienza fu come si è visto immediatamente rintuzzata da pacate e documentate disconferme- fece seguito un periodo che delle rivoluzioni e dei rilanci mostrò soltanto gli stravolgimenti, le ingiustizie e le bassezze, senza alcuno dei connotati ideali e propositivi che sono propri di tempi del genere.
Va detto che già nel corso della riunione in cui si presentò alle maestranze Patrizio dette sbrigativo inizio al suo nuovo corso facendosi largo letteralmente a gomitate e chiudendo la porta della sala campionario in faccia a Galeazzo, cui ricordò senza giri di parole che la natura collaborativa del suo rapporto di lavoro faceva di lui uno zero spaccato e comunicandogli che poteva considerarsi fuori dai piedi da quel preciso istante. Galeazzo si trovò senza lavoro, senza reddito e senza spiegazioni che non fossero il piglio deciso di questo prestigioso e volitivo consulente aziendale, e la cosa non gli piacque troppo. Nei mesi seguenti espresse più volte ad alta voce la convinzione di essere arrivato a un niente da investire il mingherlino Riva con la propria automobile e che la cosa non si era verificata solo perché gli era riuscito di accasarsi altrove in tempi relativamente ragionevoli.
A Viridiana toccò subito dopo; tornando in ufficio al termine del fervorino rivierasco i sottoposti la trovarono che racoglieva le ultime sue cose e liberava la scrivania. Dopo oltre vent'anni di lavoro era bastata mezz'ora per estrometterla da ogni cosa con modi che un essere umano -ovvero chiunque non sia un campese- non userebbe neppure per liberarsi di un mendicante insistente. Affinché non ci fossero dubbi di interpretazione sulla perentorietà della sua sorte, nei giorni successivi le fu slegata dietro anche la solita serqua di minacce legali. L'estromissione di Viridiana dalla Premiata Ditta fu perentoria, completa, assoluta e radicale: lo stesso Gaspare non ebbe dal Riva altro che quelle considerazioni scivolose e svicolanti in cui è maestra la marmaglia specializzata in riduzioni del personale.
A dire il vero, Patrizio Riva non era neppure questo: era qualcosa di meno e qualcosa di peggio, come avremo occasione di vedere.
La vedova Redentori e la sorella, tolta da non si sa quale anfratto in cui impacchettava oggetti tutto il giorno e dunque in possesso delle competenze necessarie a ricoprire il triste e logorante ruolo di amministratrice in una situazione del genere, seguivano il Riva che rovistava, giudicava, spostava, inveiva, commentava e confrontava assecondandolo in tutto, e solo in quei giorni presero effettiva contezza del fatto che la voragine lasciata da Nerino rischiava di lasciarle letteralmente in braghe di tela. 
In concreto Patrizio Riva, al netto delle secche geremiadi sulle cose che andavano (nessuna) e su quelle che non andavano (tutte) scompaginò il campionario, massacrò la residua produzione, spulciò i bilanci risaputamente manomessi e passò in rassegna i conti bancari cabriolet intrufolandosi ovunque e imponendo inutili e fastidiosi cambiamenti a prassi e comportamenti consolidati. Insomma, quello che fa qualcuno che sa di essere completamente inutile -se non dannoso- solo per dimostrare che esiste... sempre che non abbia altri scopi.
L'estromissione del Fabrizi e di Viridiana liberò una stanza; il sottoscritto, unica nota positiva, poté finalmente schiodarsi dal ripostiglio in cui si era sistemato anni prima e accomodarsi ad una vera scrivania in un ufficio degno di questo nome.

venerdì 1 settembre 2017

Entra in scena Patrizio Riva, il cialtrone a sei punte

Inizia l'anno nuovo anche nella Premiata Ditta. Tutto sembra filare come al solito: Viridiana Lanucci ha preso molto sul serio la sua funzione di amministratrice -sia pure pro tempore- e fa ovviamente del suo meglio, ma il bilancio continua allegramente a fare acqua da ogni parte e i revisori contabili a far finta di nulla come al solito. 
Le fiere campionarie di settembre, organizzate con vergognoso dispendio di mezzi ma senza pagare un ghello di trasferte al personale mandato all'estero ad ammazzarsi di lavoro per una settimana (secondo la prassi campese), sono state affollate come al solito di curiosi, sfaccendati, maneggioni e rompiscatole assortiti, oltre che di qualche raro cliente. La cosa non deve sorprendere se si pensa che la prima regola di Nerino era sempre stata quella di imbrogliare, ingannare, fregare e abbindolare chiunque gli capitasse a tiro, per qualsiasi motivo e con qualsiasi scusa. Gli appuntamenti fieristici della Premiata Ditta erano sempre stati visti con un misto di imbarazzo e di fastidio dal personale commerciale, spesso costretto proprio in quella sede a rispondere della pindarica amministrazione di Nerino e della sua personalissima concezione dell'onestà e della correttezza. Anche il turn over dei rappresentanti, piuttosto alto nel corso degli ultimi anni di esistenza della Premiata Ditta, in occasione degli eventi fieristici era motivo di silenzi imbarazzati e di articolate e patetiche manovre di evitamento. Da molti anni si era d'altronde dato il caso di personale di Bellestoffe Group letteralmente cacciato dagli stand di altri espositori a motivo dei più che discutibili comportamenti di Nerino, per cui da tempo era già molto se gli appuntamenti fieristici della Premiata Ditta non si concludevano con una totale rimessa. 
Proprio l'insultante sfarzo delle trasferte, con cene in ristoranti dal costo imbarazzante e hotel a quattro stelle, fu pretesto per un burrascoso consiglio di amministrazione in cui la gestione di Viridiana venne passata a pettine fitto da revisori improvvisamente incarogniti, che rovesciarono su di lei le responsabilità di decenni di gestione criminale. Tutti sapevano che Viridiana contava qualche cosa solo sulla carta e che per accusarla a qualsiasi titolo della situazione in essere ci volevano una totale ignoranza, una totale malafede o un miscuglio delle due cose.
All'inizio di gennaio gli eredi Lanucci avevano cominciato a capire in che razza di situazione si fossero venuti a trovare; Teresa Redentori, che non si era mai occupata di nulla ed aveva vissuto fra gli agi che Nerino non le aveva comunque fatto mancare, era convintissima di poter salvare il salvabile e aveva quasi metabolizzato l'effetto del primo apparir del vero. In questo, lei e la sorella Immacolata erano state oggetto di amorevoli rassicurazioni da parte di Gianna Patrizi: i crediti bancari ancora disponibili e un corposissimo portafoglio clienti erano ottima garanzia per il futuro. Niente era perduto, insomma. Con un congruo numero di licenziamenti scelti con cura e l'immissione di competenze pronte e sbrigative la situazione poteva senza dubbio essere gestita al meglio. 
Naturalmente nulla di tutto questo corrispondeva al vero. I fidi bancari aperti in due o tre istituti erano una voragine milionaria, e il portafoglio clienti era corposissimo... perchè negli indirizzari figuravano centinaia di prestigiose imprese con cui la Premiata Ditta non aveva rapporti da anni in virtù dei motivi su ricordati. Al momento del tempestoso consiglio di amministrazione di cui sopra stavano tra l'altro materializzandosi le conseguenze di uno degli ultimi colpi di genio di Nerino. 
Gianna Patrizi mentiva sapendo di mentire. Perfettamente consapevole della situazione, doveva ad ogni costo evitare che individui poco compiacenti mettessero il naso nella contabilità e potessero far presente agli eredi la sua corresponsabilità in quella che era una bancarotta fraudolenta bella e buona. Nel corso degli anni tutto Bellestoffe Group aveva malignato circa i suoi rapporti con Nerino che le avevano fruttato, si diceva, addirittura una bella casa in un quartiere signorile o l'arredamento della stessa, a seconda delle voci. 
Pur di evitare imbarazzanti spiegazioni se non proprio la galera, Gianna fece e strafece. 
Per sapiente caso (il mondo è veramente piccolo) nell'anticamera dello studio di commercialista in cui si tenne il consiglio di amministrazione che esautorò Viridiana delle sue ultime prerogative e la spedì a casa a calci dalla sera alla mattina ciondolava un individuo basso ma robusto, borioso ma ciarliero, cinico ma profittatore. 
Immediatamente dopo la fine del consiglio di amministrazione Patrizio Riva piovve dalla luna direttamente negli uffici della Premiata Ditta, portandosi dietro Teresa e Immacolata e promettendo minaccioso che con l'indomani tutto sarebbe cambiato
L'indomani venne convocata una riunione plenaria in sala campionario. Era la quarta in dieci anni. La terza era stata dopo la morte di Nerino; le altre due si erano compendiate di invettive senza capo né coda. Comodamente assiso a capo del preziosissimo tavolo antico a cui Nerino riceveva complici e sodali, Patrizio Riva calpestò sbrigativamente tutte le maestranze. Inutili cialtroni pigri e sciocchi che non eravamo altro: lui sì che ci sapeva fare, lui sì che sapeva come ci si comporta nelle fiere, con i clienti, con la produzione. Lui aveva lavorato dai Fratelli Questi, alla Tessile Codesti e al Quelli Pronto Moda, altro che Premiata Ditta. Che cos'era quest'aria dimessa, da poveri sciatti? Forza: pulire, riassettare, sistemare, muoversi! 
Povero Patrizio. Non aveva fatto i conti con Pino Pierini. 
La gravità dell'ora aveva reso Pino più magro, muscoloso e arcigno che mai. Alzatosi serissimo dal proprio scranno, e scandendo bene nomi e cifre, il signor Pierini ricordò a Parizio Riva come i Fratelli Questi fossero falliti cinque anni prima, che la Tessile Codesti era in amministrazione controllata e che la Quelli Pronto Moda aveva chiuso l'esercizio precedente con un passivo da tenere sveglio la notte anche un imperatore delle finanze. Esiti un po' strani, per uno tanto competente e tanto determinato. 
Patrizio non incassò bene: glissò e passò a vantare le proprie origini ebraiche e i propri stretti contatti con la Parte Indaco, una formazione di muscolosi tatuati che una volta l'anno in una vicina grande città contendono ai loro simili dei Pervinca, degli Ocra e degli Arancio la posta di un gioco folkloristico noto per la violenza sanguinaria dei suoi adepti. 
Un paio di domande tecniche precise, avanzate immediatamente e con una certa noncuranza misero subito in chiaro che il signor Riva non disingueva un tallit da un kibbutz. 
A riunione ultimata, una telefonata a un esponente degli Indaco provvide a chiarire che da quelle parti non conoscevano nessun Patrizio Riva. 
Per dare esauriente prova delle proprie competenze, al signor Riva era bastata qualche ora. 
Giusto il tempo di arrivare alla pausa pranzo.

venerdì 21 aprile 2017

La morte di un imprenditore lascia un cordoglio sincero

A distanza di qualche mese dalla morte di Nerino Lanucci si poteva concludere che l'evento aveva lasciato le maestranze della Premiata Ditta alle prese con una delle elaborazioni di lutto più veloci di cui si fosse mai avuta contezza.
Le eccezioni, e neppure troppo fitte, bisognava andare a cercarle fra le corpivendole che dal Lanucci e dal suo saccheggiare i conti aziendali avevano tratto -chi per una sera, chi per dieci anni- di che vivere più che agiatamente.
Qualcuno giurava di aver visto la vedova Teresa Redentori al mare ad abbronzarsi tranquillamente appena un paio di giorni dopo il funerale. Nulla di male nel tirare un po' il fiato: i mesi a venire avrebbero grondato spiacevoli sorprese e le avrebbero richiesto una considerevole forza d'animo.
La condotta criminale di Nerino, peraltro nota a tutti, aveva iniziato rapidamente a svelare in pieno i propri effetti e la cosa aveva almeno il pregio di indicare con certezza quale sarebbe stato il futuro della Premiata Ditta, lasciando qualche dubbio solo in merito ai tempi e ai modi con cui il naufragio si sarebbe concluso.
Nelle conversazioni quotidiane tra colleghi e corrispondenti il discorso cadeva spesso sullo sbeffeggiato estinto; il sollievo di non averlo più tra i piedi si mescolava a sprezzanti considerazioni sulle sue prodezze imprenditoriali, e regnava concordia sul fatto che in occasione delle esequie la chiesa fosse piena a maggioranza di gente venuta ad assicurarsi che fosse morto davvero.
Ad un lettore fornito di un minimo di umanità il contesto potrà sembrare riprovevole, ma la popolazione di Campo conta un buon numero di individui capacissimi di lasciarsi andare ad attestazioni di disprezzo anche peggiori, e senza pensarci troppo su. Lo stesso Nerino era solito commmentare ogni notizia luttuosa con uno sprezzante "meglio lui che io", qualche che fosse la persona venuta a mancare, e a Campo si tratta di una considerazione che si riscontra con serena normalità. Una misura attendibile dell'empatia e del senso dell'umanità di cui ogni giorno forniscono prova i suoi abitanti, insomma.
Si racconta per esempio che una ventina di anni prima un imprenditore campese proprietario di non si sa quanti immobili affittati a prezzi di tornaconto fosse rimasto vittima di un bruttissimo incidente. In uno stabile appena costruito un pesantissimo cancello a scorrimento elettrico in via di installazione aveva funzionato male ed in seguito a chissà quale manovra lo aveva orrendamente mutilato delle gambe.
Prima di morire aveva spasimato per un mese.
Il giorno dopo il funerale la figlia era giunta al lavoro in lacrime, cosa in sé comprensibile ma non legata a quanto successo. Alle domande degli astanti, cui l'aspetto francamente disperato della ragazza era parso sopra le righe persino tenendo conto delle circostanze, aveva raccontato di essersi fermata a bere un caffè in un bar. Un altro avventore l'aveva riconosciuta e le aveva detto: "Ah, sei tu la figlia di quello stronzo?! Sai una cosa? Quello che gli è successo è niente, rispetto a quello che si sarebbe meritato...!"
Così, tra un cappuccino ed un caffè, in un locale pieno di gente e senza che nessuno trovasse da ridire.
Il caldo della piena estate aveva stimolato battute e sarcasmi appropriati. In una particolare occasione un magazziniere di Bellestoffe Fashion, una delle ex consociate con cui la Premiata Ditta condivideva magazzini secondo una mappa precisa al centimetro e redatta secondo criteri da guida in stato d'ebbrezza, si mise a spostare materiali grezzi manovrando un carrello elevatore. Pino Pierini gli andò incontro: "...Hai chiesto al titolare se puoi spostare quella merce...?" "...Giusto, glielo chiedo subito," rispose l'altro. Poi, voltando lo sguardo al cielo: "...Nerino, posso spostare..." e Pino: "No, non da quella parte." Al che l'interlocutore cambiò espressione e direzione e, volgendosi bene contro la terra: "...Nerino, posso spostare queste casse...?"
Il mese di settembre, col cambiare del clima, era stato accolto da un cambio di registro: "...Buongiorno ragazzi, è raffrescato un po', oggi, vero...?" "...Eh sì, quasi dappertutto...!"
Sulla destinazione finale, sul luogo metafisico cui Nerino era destinato per l'eternità, non era sensato avere dubbi.

domenica 16 aprile 2017

Buon compleanno, Nerino!

Dopo un'incerta estate fatta di navigazione a vista con Viridiana Lanucci al timone in un mare punteggiato di iceberg chiamati insoluti ed esecuzioni forzate, il secco mese di settembre portò tra le altre cose alla Premiata Ditta la ricorrenza del primo compleanno post mortem del signor Lanucci. 
Si ricorderà che la campionarista Koka Baranidze faceva da anni la parte della favorita in un parco sgrinfie privo di veri limiti numerici, e vi primeggiava anzi da tempo per influenza acquisita e per prebende ricavate. 
Dopo la scomparsa di Nerino il suo ruolo si era istantaneamente e rovinosamente ridimensionato, e la poveretta doveva affrontare quotidianamente compagni di lavoro piuttosto propensi a farle scontare in ogni maniera possibile gli ormai trascorsi fasti; il suo ruolo informale di quasi responsabile dello stile l'aveva portata a scontrarsi quotidianamente con tecnici e personale commerciale contentissimi ora di trattarla da appestata. 
La situazione, a ben vedere, non rappresentava altro che un peggioramento repentino di un processo già in atto perché da sempre Koka non poteva azzardarsi a mettere piede fuori dal perimetro di sua stretta competenza (campionario e magazzino) senza essere oggetto di plateali attestazioni di disprezzo da parte del personale delle altre ditte di Bellestoffe Group. 
La morte di Nerino, semplicemente, aveva portato all'istante dalla parte dei nemici anche i colleghi propriamente detti, non più costretti a fingere condiscendenza e sopportazione. 
Il giorno del compleanno di Nerino, chi scrive si recò per verificare alcune cose in campionario, aspettandosi di trovarvi Koka, ivi limogé da mesi. 
Nessuno in campionario, nessuno in magazzino: nessuna traccia della Baranidze. 
 In compenso c'era il bravo Pino Pierini, decano dei magazzinieri la cui propensione a farsi mettere i piedi in testa da Nerino Lanucci era sempre stata prossima allo zero e che quel giorno era più sarcastico che mai. 
"...Eh, oggi era anche il suo compleanno: lo stesso giorno di Silvio Berlusconi. Dio li fa e poi li accoppa, vero? Peccato che per ora ne abbia accoppato solo uno..." 
A quel punto era chiaro anche perché Koka Baranidze non si vedesse in giro. 
"...No, certo che Koka non è qui: è al cimitero... Vedrai se poi non c'è anche la torta..." 
Nerino aveva brigato per anni, in piena consapevolezza, per assicurarsi l'eternità in un luogo metafisico molto preciso. Quali sarebbero stati dunque gli ingredienti principali dell'altrettanto metafisico dolce? Pece? Zolfo? Filo spinato...? 
"...No, no: la torta c'è sul serio: vai a vedere di là che cosa c'è sul condizionatore..." 
A prendere il fresco sul condizionatore c'era davvero una busta, con dentro un dolce di qualche genere. Sicuramente l'idea di Koka era quella di una mesta spartizione fra i presenti, ultimata una visita al cimitero condotta con una certa discrezione...

lunedì 10 aprile 2017

L'imprenditore tessile: un mestiere pieno di tensioni

Il signor Nerino Lanucci aveva indubbiamente qualche pregio, primi tra i quali la costanza del tono dell'umore, permanentemente virato al nero, e la coerenza nei confronti delle persone perbene, trattate come feccia tutte quante indistintamente. Non è da escludere che la non limpidissima coscienza del protagonista di questi sciagurati scritti avesse, in tutto questo, un ruolo di una certa importanza.
In poche parole Nerino Lanucci era uno che riusciva a stare antipatico anche salutando al mattino; fortunatamente di solito ometteva di farlo, cosa di cui le maestranze non si duolevano affatto dal momento che meno lo vedevano e meglio stavano.
Il cognato del mai abbastanza disprezzato signor Lanucci si chiama Gaspare Melchiorri. Una ventina di anni fa ne ha sposato la sorella Viridiana in una cerimonia celebrata tra gli sghignazzi dei presenti, trattandosi di uno di quei casi in cui neanche l'abituale ipocrisia della civiltà contemporanea basta a coprire le grosse onte su cui si stende un abito nuziale il cui colore bianco dovrebbe rimandare a purezze andate alle ortiche già da un bel pezzo.
L'episodio che stiamo per narrare risale a sei anni prima della morte di Nerino. Questo la dice lunga su quanto radicato e antico fosse l'andazzo (che non a caso fa rima con) che Nerino aveva imposto alla quotidianità aziendale, e sul clima organizzativo che già all'epoca regnava in Bellestoffe Tela.
In un giorno lavorativo qualunque di un mese qualunque di quell'anno Gaspare si era destato di buonissima ora, si era recato in Bellestoffe Tela a prendere qualche ferro del mestiere e poi era partito alla volta di una rifinizione di Vallepirlo per controllare l'andamento della produzione affidatale e che consisteva in non meglio precisati trattamenti finali per varie migliaia di metri di materiali già tessuti e tinti. Una volta sul posto aveva riscontrato una serie problemi e seccature di cui voleva parlare immediatamente con Nerino. Rovinare una partita di merce a causa di una lavorazione errata è cosa disastrosa ma non infrequente, specie in un distretto tessile dove l'incultura è un vanto e dove persino elementi fondamentali della comunicazione aziendale sono espressi a monosillabi e grugniti; compito del tecnico coscienzioso è limitare questo tipo di incidenti al minimo possibile.
Insomma, Gaspare era tornato veloce in sede ed aveva puntato diritto verso il lussuoso ufficio di Nerino al primo piano. Non ebbe neppure il tempo di entrare prima che Nerino gli indirizzasse un torrente di male parole, vomitandogli addosso una serie di invettive e di urla -cui nessuno fece gran che caso dal momento che erano parte del suo ordinario approccio a chicchessia- e cacciandolo strepitando dalla stanza.
Gaspare, forte della confidenza che gli derivava dalla stretta parentela e soprattutto del fatto che era almeno trenta centimetri più alto e una buona ventina di chili più pesante, aveva ripiegato in buon ordine. Salvo rientrare immediatamente nella stanza e dirigersi a pugni serrati verso la scrivania di Nerino, scandendo: "Ehi, guarda che se stanotte non hai scopato, la colpa non è certo mia...".
A quella considerazione pacata e astiosa al tempo stesso il de cuius si era sfasciato sulla poltroncina da padroncino, e aveva detto: "Eh, il problema è che ho scopato troppo... Mi sono arrivate delle cose a casa..."
Insomma: qualcuno si era preso la briga di avvisare Teresa Redentori -la consorte legittima di Nerino- delle tresche del marito, presumibilmente a mezzo posta ordinaria.
Eccole qui, le principali preoccupazioni di tanti ultraquarantenni responsabili di impresa, le cose che davvero li rendono insonni, confusi e distratti.
Cosa volete che fossero dieci o ventimila metri di prodotto quasi finito che correvano il rischio di presentare difetti irrimediabili...

mercoledì 5 aprile 2017

Una partita a biliardino

Dal 2001 in poi le varie ditte di Bellestoffe Group, prima sparpagliate per mezzo distretto, si divisero un complesso di due edifici pressoché gemelli all'interno di un unico lotto, nella nuova zona artigiana ed industriale a sud di Campo. Gli stabili, pressoché speculari, avevano una zona adibita ad uffici e un'altra adibita a (grossissimo) magazzino. Erano stati realizzati con l'impegno di Torquato Succhielli, l'ingegnere figlio di Padre Fondatore Numero Due che a tutto pensava meno che a curare la commercializzazione e la produzione della Bellestoffe Thinking, che era l'impresa cui doveva in buona parte la propria indiscutibile agiatezza. A lavori conclusi Torquato aveva fissato il proprio ufficio al primo piano di uno dei due; vi si arrivava in ascensore oppure percorrendo le due rampe di una scala coperta da un lucernario luminoso, e vi si accedeva tramite una elegante porta a due battenti di vetro sabbiato.
Sul pavimento di granito del corridoio antistante, a qualche passo di distanza, fu collocato un biliardino o calcino o calciobalilla, lo si chiami come si vuole. Le Vincenti Realtà Imprenditoriali sono sempre al passo coi tempi, e a Torquato era parso che nulla fosse al passo coi tempi come destinare alle maestranze qualche strumento di relax sul luogo di lavoro, specie se si pretendeva che sgobbassero per una decina di ore giornaliere venendo retribuite per otto soltanto, come d'uso corrente nel tessile campese.
Insomma, di quando in quando nel corso della giornata le invettive di Nerino Lanucci, i suoi strepiti, le sue imprecazioni e il suo scorrazzare venivano almeno parzialmente coperti dai suoni bruschi e forti di quell'arnese; lo stesso Nerino non disdegnava ogni tanto qualche partita. 
Un anno circa prima dell'appuntamento di Nerino con i servigi di non so quale impresa funebre, lui e Torquato avevano preso a trovarsi al biliardino e a giocare praticamente ogni sera, all'incirca tra le sei e le sette. Il biliardino, per i due, era diventato un punto d'incontro praticamente perfetto per la trama e l'ordito di complicate macchinazioni.
Cosa tramavano, ordivano e macchinavano Torquato e Nerino? E come mai Nerino concedeva tanta confidenza ad uno di quelli che non più tardi di un anno prima lo avevano letteralmente scaricato, intimandogli anche di guardarsi bene dall'usare il nome Bellestoffe per le sue sconcezze?
Il fatto è che sia il de cuius che il Padre Fondatore Numero Uno detenevano quote della Bellestoffe Thinking, di cui Torquato era anche amministratore.
Durante le partite, a suon di mezze parole, digressioni e "non detti" in stile 'ndràngheta i due affilavano le armi: scopo della sommossa, far fuori il Padre Fondatore Numero Uno nel corso di un'assemblea societaria, liquidarlo e rimanere padroni incontrastati anche di quel campo.
Problema.
I soci davvero importanti erano quattro ed il quarto, che aveva una quota di minoranza cui nessuno badava, era un signore che poco poteva contribuire alle magnifiche sorti e progressive di Bellestoffe Group e di Campo tutta. Molti anni prim si era trovato su una monovolume guidata da un demente che non trovò di meglio che fare un'inversione ad U su una strada di proverbiale pericolosità, e fu centrato in pieno da una macchina che veniva in legalissimo senso opposto. Risultato, danni neurologici diffusi ed una sostanziale tetraparesi.
I congiurati andarono a cercarlo: si erano accorti che in due non sarebbero riusciti nel loro intento, sicché diventava indispensabile averlo dalla loro.
Questo signore, che a Padre Fondatore Numero Uno doveva una parte non piccola della propria fortuna, si rifiutò sdegnato di prestarsi ad un'operazione che era una vile pugnalata alle spalle, ed osò perfino argomentare il proprio rifiuto.
Da quel momento in poi Torquato si assicurò personalmente che Venisse messo all'indice, ostracizzato, damnatus in aeterno come solo i campesi sanno fare quando qualcuno osa pestar loro i calli. Confinato da solo in un ufficio al pian  terreno, tagliato fuori da ogni cosa e messo letteralmente in condizioni di non nuocere, il poveraccio abdicò a tutto, ed iniziò a trascorrere le giornate facendo solitari al computer.
Ah, il senso di solidarietà dell'imprenditoria campese...!

giovedì 23 marzo 2017

E la Bentley tornò sola

Prima del suo mal corrisposto idillio con un SUV decisamente fuori misura, all'incirca verso il 2005, Nerino Lanucci aveva posseduto una Saab sportivissima che aveva preso a tenere parcheggiata in un angolo appartato del magazzino.  Il perché è presto detto: passando dalla strada i creditori già allora in corposa crescita sia per numero che per somme esigibili avrebbero potuto notare la Saab in uno dei parcheggi aziendali, inferire la sua presenza in ditta e magari fermarsi a pretendere di persona qualche riscontro. Dopo che uno di questi gli aveva fatto la posta all'ingresso per un intero pomeriggio e se ne era andato solo dopo esser stato pagato con un assegno (la Gianna Patrizi era adata a portarglielo dopo un affannoso consulto sul da farsi) Nerino aveva pensato bene di correre ai ripari.
La cosa lo parò per qualche tempo dalle conseguenze fisicamente più rischiose di un incontro con qualcuna delle persone perbene che aveva già fregato in vari modi e per vari importi, ma non dal rancore delle maestranze. Al termine di un furibondo litigio per qualche inutile quisquilia, di quelle che i padroni prendono a pretesto per rifarsela con qualche sottoposto, un magazziniere sbatté la porta e non si fece più vedere. Prima però era passato dal magazzino e con un oggetto appuntito aveva inciso un meritato insulto a stampatello sul retro della Saab.  
Al momento della morte Nerino Lanucci utilizzava abitualmente due anonime utilitarie, una Bentley ed un'altra Saab ben più nuova e ancor più lussuosa della prima, rispettivamente bianco ghiaccio e nero antracite. Il costo totale era pari a quello di un appartamento piuttosto spazioso.
Nerino le usava a giorni alterni, forse per intonare la prima con gli spezzati rosso pervinca e azzurro elettrico, e la seconda con quelli rosa fucsia e giallo fosforescente che costituivano le sue tenute più sobrie.
Nella Bentley, poi, entravano comodi nel bagagliaio l'intero set da golf e la ventiquattrore per le fughe nello scannatoio di Vallesecchielli, ed avanzava anche tutto il posto che serviva per i bagagli dell'amante in carica o delle prostitute a rotazione rapida che Nerino non si faceva mai mancare.
Padre Fondatore Numero Uno, che pure è uno degli imprenditori più ricchi di tutta Campo, aveva più volte espresso perplessità davanti ad una simile ostentazione di opulenza: dove trovava mai Nerino tutto quel denaro? La sua era una curiosità più formale che altro, dal momento che aveva tollerato per decenni le nequizie di quell'individuo, ma un panorama preciso del disastro poté averlo solo ad esequie avvenute e anche per quello ci volle diverso tempo.
Insomma, lo stile di guida di Nerino, i suoi gusti sopra il rigo e la chiassosa apparenza dell'ensemble auto-conducente non passavano certo inosservati. Non passarono inosservati neppure ad un signore di spiccata iniziativa che tre mesi prima della sua dipartita aspettò che Nerino parcheggiasse e scendesse da una delle due vetture in una tranquilla stradetta del centro per saltargli addosso e alleggerirlo in simultanea di tablet e portafogli, sparendo poi come inghiottito dalla terra.
Dopo la morte di Nerino e nello stupore generale dovuto alle pazzesche rivelazioni sulla sua condotta che si arricchivano di giorno in giorno di nuovi e deprimenti particolari, la Bentley rimase per mesi nel parcheggio del complesso di stabili in cui aveva sede la Premiata Ditta prima che qualcuno si risolvesse a toglierla di lì per portarla chissà dove.
Dopo quasi un anno si presentò in ditta il giovane ed esuberante agente per il mercato emiliano e romagnolo, degnissimo sodale di Nerino per quanto riguardava comportamenti di spesa da fucilazione e condotte irresponsabili: la prima cosa che si era premurato di comunicare a chi scrive, prima e ancora del proprio nome e cognome, era stata la sua passione per il gioco d'azzardo assecondata con frequenti viaggi verso le bische di Nova Gorica e di Opatija.
Ad accoglierlo trovò una ancora disorientata Teresa Redentori vedova Lanucci, che presiedeva esterrefatta al graduale palesarsi dello sfascio, ed una sempre più sfuggente Gianna Patrizi, intenta a barcamenarsi tra contabilità e mezze verità perché in un contesto un po' più chiaro la sua complicità nei reati finanziari di Nerino sarebbe saltata gli occhi anche del più indulgente dei revisori contabili. Proprio da Gianna questo signore sperava di ottenere finalmente il pagamento delle provvigioni che gli spettavano.
A porta socchiusa e tra un singhiozzo e una risata, lo scialacquatore e la signora Redentori rievocarono per una mezz'ora i bei tempi andati e la vita con Nerino, così estroso ed effervescente, così imperioso e volitivo che mai aveva pagato il bollo né dell'una né dell'altra macchina, dando anche furibondi ordini in merito alla fedele Gianna ripetuti in più di un caso sbraitando al cellulare.
Ora, i sistemi informatici hanno una discreta memoria e che è piuttosto difficile fargliela in barba, per quanto estrosi ed effervescenti, per quanto imperiosi e volitivi si possa essere e per quanto si sia alzata la voce al cellulare.
I mancati pagamenti saltarono puntualissimi fuori di lì a qualche settimana, quando Teresa si rassegnò a vendere entrambe le automobili, e presero la forma concreta di arretrati sovratassati e salatissimi.
Le automobili, per quanto pacchiane possano essere, difficilmente rappresentano un buon investimento; il valore già in diminuzione dei due supponenti ed arroganti catafalchi lanucciani risentì in una certa misura della stolta arroganza che era l'essenza stessa di quell'individuo e che permeava ogni minimo aspetto della sua esistenza. A conti fatti Nerino riuscì a farsi ricordare anche per questo ultimo, stolto tocco alla voragine di debiti di cui era stato primo ed indiscusso artefice.