giovedì 23 marzo 2017

E la Bentley tornò sola

Prima del suo mal corrisposto idillio con un SUV decisamente fuori misura, all'incirca verso il 2005, Nerino Lanucci aveva posseduto una Saab sportivissima che aveva preso a tenere parcheggiata in un angolo appartato del magazzino.  Il perché è presto detto: passando dalla strada i creditori già allora in corposa crescita sia per numero che per somme esigibili avrebbero potuto notare la Saab in uno dei parcheggi aziendali, inferire la sua presenza in ditta e magari fermarsi a pretendere di persona qualche riscontro. Dopo che uno di questi gli aveva fatto la posta all'ingresso per un intero pomeriggio e se ne era andato solo dopo esser stato pagato con un assegno (la Gianna Patrizi era adata a portarglielo dopo un affannoso consulto sul da farsi) Nerino aveva pensato bene di correre ai ripari.
La cosa lo parò per qualche tempo dalle conseguenze fisicamente più rischiose di un incontro con qualcuna delle persone perbene che aveva già fregato in vari modi e per vari importi, ma non dal rancore delle maestranze. Al termine di un furibondo litigio per qualche inutile quisquilia, di quelle che i padroni prendono a pretesto per rifarsela con qualche sottoposto, un magazziniere sbatté la porta e non si fece più vedere. Prima però era passato dal magazzino e con un oggetto appuntito aveva inciso un meritato insulto a stampatello sul retro della Saab.  
Al momento della morte Nerino Lanucci utilizzava abitualmente due anonime utilitarie, una Bentley ed un'altra Saab ben più nuova e ancor più lussuosa della prima, rispettivamente bianco ghiaccio e nero antracite. Il costo totale era pari a quello di un appartamento piuttosto spazioso.
Nerino le usava a giorni alterni, forse per intonare la prima con gli spezzati rosso pervinca e azzurro elettrico, e la seconda con quelli rosa fucsia e giallo fosforescente che costituivano le sue tenute più sobrie.
Nella Bentley, poi, entravano comodi nel bagagliaio l'intero set da golf e la ventiquattrore per le fughe nello scannatoio di Vallesecchielli, ed avanzava anche tutto il posto che serviva per i bagagli dell'amante in carica o delle prostitute a rotazione rapida che Nerino non si faceva mai mancare.
Padre Fondatore Numero Uno, che pure è uno degli imprenditori più ricchi di tutta Campo, aveva più volte espresso perplessità davanti ad una simile ostentazione di opulenza: dove trovava mai Nerino tutto quel denaro? La sua era una curiosità più formale che altro, dal momento che aveva tollerato per decenni le nequizie di quell'individuo, ma un panorama preciso del disastro poté averlo solo ad esequie avvenute e anche per quello ci volle diverso tempo.
Insomma, lo stile di guida di Nerino, i suoi gusti sopra il rigo e la chiassosa apparenza dell'ensemble auto-conducente non passavano certo inosservati. Non passarono inosservati neppure ad un signore di spiccata iniziativa che tre mesi prima della sua dipartita aspettò che Nerino parcheggiasse e scendesse da una delle due vetture in una tranquilla stradetta del centro per saltargli addosso e alleggerirlo in simultanea di tablet e portafogli, sparendo poi come inghiottito dalla terra.
Dopo la morte di Nerino e nello stupore generale dovuto alle pazzesche rivelazioni sulla sua condotta che si arricchivano di giorno in giorno di nuovi e deprimenti particolari, la Bentley rimase per mesi nel parcheggio del complesso di stabili in cui aveva sede la Premiata Ditta prima che qualcuno si risolvesse a toglierla di lì per portarla chissà dove.
Dopo quasi un anno si presentò in ditta il giovane ed esuberante agente per il mercato emiliano e romagnolo, degnissimo sodale di Nerino per quanto riguardava comportamenti di spesa da fucilazione e condotte irresponsabili: la prima cosa che si era premurato di comunicare a chi scrive, prima e ancora del proprio nome e cognome, era stata la sua passione per il gioco d'azzardo assecondata con frequenti viaggi verso le bische di Nova Gorica e di Opatija.
Ad accoglierlo trovò una ancora disorientata Teresa Redentori vedova Lanucci, che presiedeva esterrefatta al graduale palesarsi dello sfascio, ed una sempre più sfuggente Gianna Patrizi, intenta a barcamenarsi tra contabilità e mezze verità perché in un contesto un po' più chiaro la sua complicità nei reati finanziari di Nerino sarebbe saltata gli occhi anche del più indulgente dei revisori contabili. Proprio da Gianna questo signore sperava di ottenere finalmente il pagamento delle provvigioni che gli spettavano.
A porta socchiusa e tra un singhiozzo e una risata, lo scialacquatore e la signora Redentori rievocarono per una mezz'ora i bei tempi andati e la vita con Nerino, così estroso ed effervescente, così imperioso e volitivo che mai aveva pagato il bollo né dell'una né dell'altra macchina, dando anche furibondi ordini in merito alla fedele Gianna ripetuti in più di un caso sbraitando al cellulare.
Ora, i sistemi informatici hanno una discreta memoria e che è piuttosto difficile fargliela in barba, per quanto estrosi ed effervescenti, per quanto imperiosi e volitivi si possa essere e per quanto si sia alzata la voce al cellulare.
I mancati pagamenti saltarono puntualissimi fuori di lì a qualche settimana, quando Teresa si rassegnò a vendere entrambe le automobili, e presero la forma concreta di arretrati sovratassati e salatissimi.
Le automobili, per quanto pacchiane possano essere, difficilmente rappresentano un buon investimento; il valore già in diminuzione dei due supponenti ed arroganti catafalchi lanucciani risentì in una certa misura della stolta arroganza che era l'essenza stessa di quell'individuo e che permeava ogni minimo aspetto della sua esistenza. A conti fatti Nerino riuscì a farsi ricordare anche per questo ultimo, stolto tocco alla voragine di debiti di cui era stato primo ed indiscusso artefice.