venerdì 21 aprile 2017

La morte di un imprenditore lascia un cordoglio sincero

A distanza di qualche mese dalla morte di Nerino Lanucci si poteva concludere che l'evento aveva lasciato le maestranze della Premiata Ditta alle prese con una delle elaborazioni di lutto più veloci di cui si fosse mai avuta contezza.
Le eccezioni, e neppure troppo fitte, bisognava andare a cercarle fra le corpivendole che dal Lanucci e dal suo saccheggiare i conti aziendali avevano tratto -chi per una sera, chi per dieci anni- di che vivere più che agiatamente.
Qualcuno giurava di aver visto la vedova Teresa Redentori al mare ad abbronzarsi tranquillamente appena un paio di giorni dopo il funerale. Nulla di male nel tirare un po' il fiato: i mesi a venire avrebbero grondato spiacevoli sorprese e le avrebbero richiesto una considerevole forza d'animo.
La condotta criminale di Nerino, peraltro nota a tutti, aveva iniziato rapidamente a svelare in pieno i propri effetti e la cosa aveva almeno il pregio di indicare con certezza quale sarebbe stato il futuro della Premiata Ditta, lasciando qualche dubbio solo in merito ai tempi e ai modi con cui il naufragio si sarebbe concluso.
Nelle conversazioni quotidiane tra colleghi e corrispondenti il discorso cadeva spesso sullo sbeffeggiato estinto; il sollievo di non averlo più tra i piedi si mescolava a sprezzanti considerazioni sulle sue prodezze imprenditoriali, e regnava concordia sul fatto che in occasione delle esequie la chiesa fosse piena a maggioranza di gente venuta ad assicurarsi che fosse morto davvero.
Ad un lettore fornito di un minimo di umanità il contesto potrà sembrare riprovevole, ma la popolazione di Campo conta un buon numero di individui capacissimi di lasciarsi andare ad attestazioni di disprezzo anche peggiori, e senza pensarci troppo su. Lo stesso Nerino era solito commmentare ogni notizia luttuosa con uno sprezzante "meglio lui che io", qualche che fosse la persona venuta a mancare, e a Campo si tratta di una considerazione che si riscontra con serena normalità. Una misura attendibile dell'empatia e del senso dell'umanità di cui ogni giorno forniscono prova i suoi abitanti, insomma.
Si racconta per esempio che una ventina di anni prima un imprenditore campese proprietario di non si sa quanti immobili affittati a prezzi di tornaconto fosse rimasto vittima di un bruttissimo incidente. In uno stabile appena costruito un pesantissimo cancello a scorrimento elettrico in via di installazione aveva funzionato male ed in seguito a chissà quale manovra lo aveva orrendamente mutilato delle gambe.
Prima di morire aveva spasimato per un mese.
Il giorno dopo il funerale la figlia era giunta al lavoro in lacrime, cosa in sé comprensibile ma non legata a quanto successo. Alle domande degli astanti, cui l'aspetto francamente disperato della ragazza era parso sopra le righe persino tenendo conto delle circostanze, aveva raccontato di essersi fermata a bere un caffè in un bar. Un altro avventore l'aveva riconosciuta e le aveva detto: "Ah, sei tu la figlia di quello stronzo?! Sai una cosa? Quello che gli è successo è niente, rispetto a quello che si sarebbe meritato...!"
Così, tra un cappuccino ed un caffè, in un locale pieno di gente e senza che nessuno trovasse da ridire.
Il caldo della piena estate aveva stimolato battute e sarcasmi appropriati. In una particolare occasione un magazziniere di Bellestoffe Fashion, una delle ex consociate con cui la Premiata Ditta condivideva magazzini secondo una mappa precisa al centimetro e redatta secondo criteri da guida in stato d'ebbrezza, si mise a spostare materiali grezzi manovrando un carrello elevatore. Pino Pierini gli andò incontro: "...Hai chiesto al titolare se puoi spostare quella merce...?" "...Giusto, glielo chiedo subito," rispose l'altro. Poi, voltando lo sguardo al cielo: "...Nerino, posso spostare..." e Pino: "No, non da quella parte." Al che l'interlocutore cambiò espressione e direzione e, volgendosi bene contro la terra: "...Nerino, posso spostare queste casse...?"
Il mese di settembre, col cambiare del clima, era stato accolto da un cambio di registro: "...Buongiorno ragazzi, è raffrescato un po', oggi, vero...?" "...Eh sì, quasi dappertutto...!"
Sulla destinazione finale, sul luogo metafisico cui Nerino era destinato per l'eternità, non era sensato avere dubbi.

domenica 16 aprile 2017

Buon compleanno, Nerino!

Dopo un'incerta estate fatta di navigazione a vista con Viridiana Lanucci al timone in un mare punteggiato di iceberg chiamati insoluti ed esecuzioni forzate, il secco mese di settembre portò tra le altre cose alla Premiata Ditta la ricorrenza del primo compleanno post mortem del signor Lanucci. 
Si ricorderà che la campionarista Koka Baranidze faceva da anni la parte della favorita in un parco sgrinfie privo di veri limiti numerici, e vi primeggiava anzi da tempo per influenza acquisita e per prebende ricavate. 
Dopo la scomparsa di Nerino il suo ruolo si era istantaneamente e rovinosamente ridimensionato, e la poveretta doveva affrontare quotidianamente compagni di lavoro piuttosto propensi a farle scontare in ogni maniera possibile gli ormai trascorsi fasti; il suo ruolo informale di quasi responsabile dello stile l'aveva portata a scontrarsi quotidianamente con tecnici e personale commerciale contentissimi ora di trattarla da appestata. 
La situazione, a ben vedere, non rappresentava altro che un peggioramento repentino di un processo già in atto perché da sempre Koka non poteva azzardarsi a mettere piede fuori dal perimetro di sua stretta competenza (campionario e magazzino) senza essere oggetto di plateali attestazioni di disprezzo da parte del personale delle altre ditte di Bellestoffe Group. 
La morte di Nerino, semplicemente, aveva portato all'istante dalla parte dei nemici anche i colleghi propriamente detti, non più costretti a fingere condiscendenza e sopportazione. 
Il giorno del compleanno di Nerino, chi scrive si recò per verificare alcune cose in campionario, aspettandosi di trovarvi Koka, ivi limogé da mesi. 
Nessuno in campionario, nessuno in magazzino: nessuna traccia della Baranidze. 
 In compenso c'era il bravo Pino Pierini, decano dei magazzinieri la cui propensione a farsi mettere i piedi in testa da Nerino Lanucci era sempre stata prossima allo zero e che quel giorno era più sarcastico che mai. 
"...Eh, oggi era anche il suo compleanno: lo stesso giorno di Silvio Berlusconi. Dio li fa e poi li accoppa, vero? Peccato che per ora ne abbia accoppato solo uno..." 
A quel punto era chiaro anche perché Koka Baranidze non si vedesse in giro. 
"...No, certo che Koka non è qui: è al cimitero... Vedrai se poi non c'è anche la torta..." 
Nerino aveva brigato per anni, in piena consapevolezza, per assicurarsi l'eternità in un luogo metafisico molto preciso. Quali sarebbero stati dunque gli ingredienti principali dell'altrettanto metafisico dolce? Pece? Zolfo? Filo spinato...? 
"...No, no: la torta c'è sul serio: vai a vedere di là che cosa c'è sul condizionatore..." 
A prendere il fresco sul condizionatore c'era davvero una busta, con dentro un dolce di qualche genere. Sicuramente l'idea di Koka era quella di una mesta spartizione fra i presenti, ultimata una visita al cimitero condotta con una certa discrezione...

lunedì 10 aprile 2017

L'imprenditore tessile: un mestiere pieno di tensioni

Il signor Nerino Lanucci aveva indubbiamente qualche pregio, primi tra i quali la costanza del tono dell'umore, permanentemente virato al nero, e la coerenza nei confronti delle persone perbene, trattate come feccia tutte quante indistintamente. Non è da escludere che la non limpidissima coscienza del protagonista di questi sciagurati scritti avesse, in tutto questo, un ruolo di una certa importanza.
In poche parole Nerino Lanucci era uno che riusciva a stare antipatico anche salutando al mattino; fortunatamente di solito ometteva di farlo, cosa di cui le maestranze non si duolevano affatto dal momento che meno lo vedevano e meglio stavano.
Il cognato del mai abbastanza disprezzato signor Lanucci si chiama Gaspare Melchiorri. Una ventina di anni fa ne ha sposato la sorella Viridiana in una cerimonia celebrata tra gli sghignazzi dei presenti, trattandosi di uno di quei casi in cui neanche l'abituale ipocrisia della civiltà contemporanea basta a coprire le grosse onte su cui si stende un abito nuziale il cui colore bianco dovrebbe rimandare a purezze andate alle ortiche già da un bel pezzo.
L'episodio che stiamo per narrare risale a sei anni prima della morte di Nerino. Questo la dice lunga su quanto radicato e antico fosse l'andazzo (che non a caso fa rima con) che Nerino aveva imposto alla quotidianità aziendale, e sul clima organizzativo che già all'epoca regnava in Bellestoffe Tela.
In un giorno lavorativo qualunque di un mese qualunque di quell'anno Gaspare si era destato di buonissima ora, si era recato in Bellestoffe Tela a prendere qualche ferro del mestiere e poi era partito alla volta di una rifinizione di Vallepirlo per controllare l'andamento della produzione affidatale e che consisteva in non meglio precisati trattamenti finali per varie migliaia di metri di materiali già tessuti e tinti. Una volta sul posto aveva riscontrato una serie problemi e seccature di cui voleva parlare immediatamente con Nerino. Rovinare una partita di merce a causa di una lavorazione errata è cosa disastrosa ma non infrequente, specie in un distretto tessile dove l'incultura è un vanto e dove persino elementi fondamentali della comunicazione aziendale sono espressi a monosillabi e grugniti; compito del tecnico coscienzioso è limitare questo tipo di incidenti al minimo possibile.
Insomma, Gaspare era tornato veloce in sede ed aveva puntato diritto verso il lussuoso ufficio di Nerino al primo piano. Non ebbe neppure il tempo di entrare prima che Nerino gli indirizzasse un torrente di male parole, vomitandogli addosso una serie di invettive e di urla -cui nessuno fece gran che caso dal momento che erano parte del suo ordinario approccio a chicchessia- e cacciandolo strepitando dalla stanza.
Gaspare, forte della confidenza che gli derivava dalla stretta parentela e soprattutto del fatto che era almeno trenta centimetri più alto e una buona ventina di chili più pesante, aveva ripiegato in buon ordine. Salvo rientrare immediatamente nella stanza e dirigersi a pugni serrati verso la scrivania di Nerino, scandendo: "Ehi, guarda che se stanotte non hai scopato, la colpa non è certo mia...".
A quella considerazione pacata e astiosa al tempo stesso il de cuius si era sfasciato sulla poltroncina da padroncino, e aveva detto: "Eh, il problema è che ho scopato troppo... Mi sono arrivate delle cose a casa..."
Insomma: qualcuno si era preso la briga di avvisare Teresa Redentori -la consorte legittima di Nerino- delle tresche del marito, presumibilmente a mezzo posta ordinaria.
Eccole qui, le principali preoccupazioni di tanti ultraquarantenni responsabili di impresa, le cose che davvero li rendono insonni, confusi e distratti.
Cosa volete che fossero dieci o ventimila metri di prodotto quasi finito che correvano il rischio di presentare difetti irrimediabili...

mercoledì 5 aprile 2017

Una partita a biliardino

Dal 2001 in poi le varie ditte di Bellestoffe Group, prima sparpagliate per mezzo distretto, si divisero un complesso di due edifici pressoché gemelli all'interno di un unico lotto, nella nuova zona artigiana ed industriale a sud di Campo. Gli stabili, pressoché speculari, avevano una zona adibita ad uffici e un'altra adibita a (grossissimo) magazzino. Erano stati realizzati con l'impegno di Torquato Succhielli, l'ingegnere figlio di Padre Fondatore Numero Due che a tutto pensava meno che a curare la commercializzazione e la produzione della Bellestoffe Thinking, che era l'impresa cui doveva in buona parte la propria indiscutibile agiatezza. A lavori conclusi Torquato aveva fissato il proprio ufficio al primo piano di uno dei due; vi si arrivava in ascensore oppure percorrendo le due rampe di una scala coperta da un lucernario luminoso, e vi si accedeva tramite una elegante porta a due battenti di vetro sabbiato.
Sul pavimento di granito del corridoio antistante, a qualche passo di distanza, fu collocato un biliardino o calcino o calciobalilla, lo si chiami come si vuole. Le Vincenti Realtà Imprenditoriali sono sempre al passo coi tempi, e a Torquato era parso che nulla fosse al passo coi tempi come destinare alle maestranze qualche strumento di relax sul luogo di lavoro, specie se si pretendeva che sgobbassero per una decina di ore giornaliere venendo retribuite per otto soltanto, come d'uso corrente nel tessile campese.
Insomma, di quando in quando nel corso della giornata le invettive di Nerino Lanucci, i suoi strepiti, le sue imprecazioni e il suo scorrazzare venivano almeno parzialmente coperti dai suoni bruschi e forti di quell'arnese; lo stesso Nerino non disdegnava ogni tanto qualche partita. 
Un anno circa prima dell'appuntamento di Nerino con i servigi di non so quale impresa funebre, lui e Torquato avevano preso a trovarsi al biliardino e a giocare praticamente ogni sera, all'incirca tra le sei e le sette. Il biliardino, per i due, era diventato un punto d'incontro praticamente perfetto per la trama e l'ordito di complicate macchinazioni.
Cosa tramavano, ordivano e macchinavano Torquato e Nerino? E come mai Nerino concedeva tanta confidenza ad uno di quelli che non più tardi di un anno prima lo avevano letteralmente scaricato, intimandogli anche di guardarsi bene dall'usare il nome Bellestoffe per le sue sconcezze?
Il fatto è che sia il de cuius che il Padre Fondatore Numero Uno detenevano quote della Bellestoffe Thinking, di cui Torquato era anche amministratore.
Durante le partite, a suon di mezze parole, digressioni e "non detti" in stile 'ndràngheta i due affilavano le armi: scopo della sommossa, far fuori il Padre Fondatore Numero Uno nel corso di un'assemblea societaria, liquidarlo e rimanere padroni incontrastati anche di quel campo.
Problema.
I soci davvero importanti erano quattro ed il quarto, che aveva una quota di minoranza cui nessuno badava, era un signore che poco poteva contribuire alle magnifiche sorti e progressive di Bellestoffe Group e di Campo tutta. Molti anni prim si era trovato su una monovolume guidata da un demente che non trovò di meglio che fare un'inversione ad U su una strada di proverbiale pericolosità, e fu centrato in pieno da una macchina che veniva in legalissimo senso opposto. Risultato, danni neurologici diffusi ed una sostanziale tetraparesi.
I congiurati andarono a cercarlo: si erano accorti che in due non sarebbero riusciti nel loro intento, sicché diventava indispensabile averlo dalla loro.
Questo signore, che a Padre Fondatore Numero Uno doveva una parte non piccola della propria fortuna, si rifiutò sdegnato di prestarsi ad un'operazione che era una vile pugnalata alle spalle, ed osò perfino argomentare il proprio rifiuto.
Da quel momento in poi Torquato si assicurò personalmente che Venisse messo all'indice, ostracizzato, damnatus in aeterno come solo i campesi sanno fare quando qualcuno osa pestar loro i calli. Confinato da solo in un ufficio al pian  terreno, tagliato fuori da ogni cosa e messo letteralmente in condizioni di non nuocere, il poveraccio abdicò a tutto, ed iniziò a trascorrere le giornate facendo solitari al computer.
Ah, il senso di solidarietà dell'imprenditoria campese...!